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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Totti Benatia De Rossi

Si ricomincia dal capello già umido di Amauri e da un fallo laterale per il Parma, arlecchinesco nei suoi riquadri gialli e blu. Una cosa si capisce subito, degli uomini di Donadoni: senza Cassano diminuiscono estro e tasso tecnico, c’è però maggiore essenzialità offensiva e Marchionni-Schelotto-Biabiany sono da guardare a vista, cosa che la Roma mostra qualche svagatezza di troppo nel (non) fare. Prima occasione parmense, infatti, con Torosidis e compagni maldisposti soprattutto per quanto concerne gli spazi nella linea.

Un minuto e mezzo dopo, però, Taddei sulla dorsale sinistra esce coccolando la palla e gli sussurra di raggiungere Gervinho con la quarta già innestata lungo la “hall” che il Parma, alto nell’occasione, lascia sgombra. Gervais esegue il consueto numero in frenata, serve Totti a centro area e il Capitano mette una virgola dannunziana per Destro sul fianco mancino dell’area: diagonale sulla faccia interna del palo, palla che torna nell’area piccola dove Gervinho, più solo di Bobby, la doma e la deposita.

Dura pochissimo il vantaggio, perché su un palloncino scodellato da Gobbi nel cuore dell’area giallorossa Acquah ha tempo di ordinare il caffè, zuccherarlo, macchiarlo con un goccio di latte, quindi aggiustarsi la sfera col petto, metterla a terra e battere De Sanctis rasoterra.

Da dove ricominciamo? Da Totti, perché c’è sempre da guadagnare, come mio cugino Gabriele che ha scommesso sul suo ventesimo centro in carriera al Parma: rasoterra di Pjanic col giro esatto dalla Tevere verso il centro della trequarti, Totti non la fa neppure fermare: soffia un interno destro che disegna una piccola orbita che si arresta a metà sotto la traversa di Mirante; inchinandosi, l’Olimpico ulula di piacere per l’orgasmo multiplo del goal numero 234. Troppo lungo scriverlo in lettere, troppi goal per una sola generazione di tifosi.

Tutta la prima frazione se ne va tra ripartenze vicendevoli; in ordine sparso segnaliamo: le smanie di Schelotto, la faccia sghemba di Donadoni, un meraviglioso piatto sinistro di Gervinho che il fuorigioco vanifica, un Destro che meriterebbe qualche ultimo passaggio in più.

Si va al riposo tra cori che chiamano il massimo traguardo e la consapevolezza che serve il terzo centro per stare tranquilli: veniamo subito accontentati e c’è sempre Gervinho che fa, disfa e recupera, tutto di corsa; al minuto quarantanove crea il caos dionisiaco nell’area di Molinaro e compagni, apollineo arriva Pjanic per piazzare la biglia del tre a uno in diagonale.

Che stadio!

Il Parma, a questo punto, deve fare qualcosa di più se vuole risollevare l’encefalogramma della gara. Ma la Roma è tanta, adesso e lì dietro se Benatia fosse nato a Berlino ci sarebbero ancora due Germanie.

Florenzi per Destro, applaudito da Garcia e stadio, ma scontento nell’uscita, segno di fame.

Pjanic ricama, De Rossi cuce, Maicon calza pneumatici estivi: leggero e potente, assetto da gara.

Intorno al settantesimo, il Parma è assopito, cullato dai cori di un Olimpico entusiasta e…Lungimirante.

Gervinho dribbla anche se stesso, nel frattempo, altrimenti si sarebbe sul sei a uno o giù di lì; il cronometro è sempre più alleato della Roma, che appena può prova a cercare la punturina del quattro a uno e lo fa sempre strizzando l’occhiolino alla dimensione estetica dell’arrivo in porta. Bastos per Totti, il Capitano racchiude l’Olimpico nel palmo di una mano che saluta uno stadio bambino.
Dalla cintola in su, i collegamenti del Parma sono sempre più disturbati; Bastos quando ha campo è spiritato come il suo sguardo, ci si può ancora godere qualcosa…

Minuto ottantadue, angolo dalla lunetta che separa Tevere e Distinti Sud; Taddei decolla in torsione, la sfera va a morire felice sul palo alla destra di un Mirante di gesso: tripudio per Don Rodrigo, la curva si fa scalare come un pendio di classifica; un giocatore simbolo mescola il sudore della maglia che onora, a dispetto del tempo, all’affetto di un popolo che riconosce sempre chi lo ama davvero.
C’è tempo per un destro piazzato di Biabiany, che all’andata fu uno dei pochissimi privilegiati, su cui De Sanctis non può che arrabbiarsi con serenità.

Fischia De Marco, pettinato come una comparsa di Grease, per una folla che gonfia il petto di soddisfazione.
Presagi di felice pazzia, sognare non costa, le suggestioni possono anche fregarsene della matematica, questa è la Roma.

Paolo Marcacci

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