(Gazzetta dello Sport) La fotografia è in bianco e nero ma il ricordo, 21 anni dopo, è ancora a colori. Del resto, gli istanti di quel 28 marzo — giorno di festa che i romanisti celebrano scambiandosi gli auguri di Natale — in cui Vujadin Boskov si rivolse a Rizzitelli («Faccio entrare il ragazzino»), quello gli rispose («E fallo entrare, tanto ormai abbiamo vinto»), il ragazzino all’inizio non capì («Pensavo dicesse a Muzzi»), poi finalmente entrò (a 3’ dal 90’), furono le uniche pennellate di colore in una stagione decisamente grigia.
L’unica in cui Boskov allenò la Roma, con scarsi risultati (10° posto in campionato, finale di Coppa Italia persa con il Torino), ma tanto folklore, alimentato dal presidente Giuseppe Ciarrapico. Che volle fortissimamente Boskov e col quale concordò l’acquisto di Mihajlovic (che non pagò alla Stella Rossa), la bocciatura di Signori («Sicuri che quel biondino è bbono?») e la scelta di Caniggia (poi pizzicato positivo alla cocaina). Di quella tragicomica stagione, l’ultima col Ciarra al potere, conclusa con la società sull’orlo del fallimento, si ricordano partite inquietanti, interviste esilaranti (l’italiano non è mai stato il pezzo forte di Boskov) e scene da commedia all’italiana, come quando Ciarrapico scappò dalla clinica e si presentò all’Olimpico in pigiama e vestaglia (poi fu pure arrestato). Per fortuna, quel 28 marzo 1993 a Brescia gli dei del calcio dotarono Boskov di saggezza e lungimiranza. Di questo i romanisti gli saranno sempre grati.