(G. B. Olivero) – Corre. Salta. Urla. Gode. La pioggia gli scivola addosso come le critiche di chi vorrebbe cambiarne il carattere o, peggio, l’approccio al lavoro: Antonio Conte vuole vincere. Non essere simpatico (anche se a cena è un’altra persona rispetto alle interviste post o pre-partita): semplicemente vincere. Come Josè Mourinho. E’ un leader, un capo, un trascinatore. Come Josè Mourinho. E quando le occasioni sono importanti non si vergogna di lasciarsi andare e festeggiare scivolando in campo, buttandosi quasi selvaggiamente tra le braccia dei suoi giocatori. Proprio come Josè Mourinho (vi ricordate lo show al Bernabeu in un Real- City 3-2 di Champions?). E’ successo dopo il gol del 3-1 al Sassuolo, il tacco di Llorente che ha chiuso ogni discorso: «Ma io ho sempre avuto questi atteggiamenti e comportamenti passionali sin da Arezzo – spiega Conte – Ero così da calciatore, sono così da allenatore. Vivo la mia professione senza guardare in faccia a nessuno, con partecipazione e professionalità. I giocatori apprezzano che io lotti con loro sempre». Ieri Conte si era messo in tuta: per la pioggia, certo, ma anche per lanciare un messaggio alla squadra. Io sono con voi, lotto con voi.
Eccitazione Game over. Anche se Conte racconta che «non è ancora il tempo per festeggiare, c’è ancora una possibilità per chi insegue. Ma abbiamo fatto un importantissimo passo avanti. Sento dire che la Roma sta facendo un campionato stratosferico: non trovo aggettivi per il nostro». Merita aggettivi positivi anche il Sassuolo che si è impegnato moltissimo evitando recriminazioni da parte dell’allenatore della Roma: «Con le dichiarazioni di Garcia abbiamo fatto un passo indietro dal punto di vista culturale. Noi siamo a più otto, credo che nervosi siano gli altri. Devono stare attenti a quello che dicono, alimentano la cultura del sospetto parlando di aiutini e di squadre che non si impegnano». Con il successo di ieri la Juve di Conte supera quella di Capello 2005-06 che si era fermata a 91 punti. Adesso quota 100 resta nel mirino: basterà, si fa per dire, vincere in casa contro Atalanta e Cagliari e pareggiare a Roma. «Ma mi eccito di più pensando a questi tre anni: un percorso incredibile. Mi eccita allenare questi ragazzi, che hanno grandi meriti: non è facile tenere sulla corda lo stesso gruppo per tre stagioni, io ci ho messo del mio ma loro sono eccezionali. E questo è un periodo esaltante».
L’ultimo passo Un mese fa Conte fece un discorsetto alla squadra:«Adesso vinciamo tutte le partite in campionato ed Europa League. Compreso lo scontro diretto di Roma, anche se non dovesse contare nulla». Il gruppo ha recepito il messaggio e sta stringendo i denti in un momento non semplice. La fatica si fa sentire, ma nello spogliatoio ci sono l’entusiasmo e la consapevolezza di essere vicini a una doppietta storica, riuscita solo due volte nella storia della Juve con Trapattoni in panchina: «Adesso dobbiamo recuperare energie per il ritorno con il Benfica – chiude Conte –. Sono sicuro che saremo in dodici: lo Stadium ci aiuterà. Se riusciremo a vincere l’Europa League tutti diranno che è una coppetta. Se la perderemo diranno invece che non siamo pronti per le coppe». Il rumore dei nemici, lo chiamava Mourinho. Che in Europa ha vinto molto. Ecco il prossimo passo, Antonio. L’ultimo.