(blog.guerinsportivo.it) – Il Brasile è in pieno disfattismo premondiale, situazione mediatica e psicologica che 24 anni fa abbiamo ben conosciuto anche in Italia. Gli stadi che non sono ancora pronti, le infrastrutture che mancano, i morti nei cantieri, la gente che non ne può più della manifestazione un mese e mezzo prima del suo inizio, gli intellettuali che si disperano. Tutti allarmi fondati, ma non al punto di mettere in pericolo una manifestazione che, comunque vada, rischia a livello di immagine di essere per il Brasile un boomerang. Far sparire zingari e mendicanti dalle strade per un mese, come avviene nella civile Europa in questi casi, è decisamente più facile che gestire una ribellione nelle favelas. Ribellione più o meno ispirata da delinquenti locali, ma di sicuro repressa da un braccio violento della legge che in molti casi è stato violentissimo.
E meno male che la presiedente Dilma Rousseff gode di buona stampa internazionale, essendo di sinistra, se no sarebbero già partiti gli editoriali su repubblica delle banane e autoritarismo sudamericano. Il segretario generale della FIFA Valcke, rimbalzando fra Cuiabà e Curitiba, ha fatto il punto della situazione senza drammatizzare: non può dirlo in questi termini, ma per avvitare qualche migliaio di seggiolini non ci vuole l’organizzazione tedesca e bastano poche settimane di impegno a ritmo latino.
La sostanza è che tre stadi, fra cui l’Arena Corithians di San Paolo (FOTO) dove si giocherà la prima partita del Mondiale (Brasile-Croazia, 12 giugno) non sono ancora pronti ma che di sicuro lo saranno fra un mese visto che bisogna solo ultimare alcuni lavori all’interno degli impianti (servizi igienici, poltroncine in alcuni settori, area ospitalità) e che nessuna manifestazione sportiva ha mai risolto né risolverà i problemi di un paese.