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IL FATTO QUOTIDIANO Sansone, niente gloria per chi rifiuta un rigore

Polemica Rizzoli

(M. Pagani) – In un clima biblico, con forza inversamente proporzionale alla mitologia, alle evocazioni e alla scena del delitto, Gianluca Sansone ha deciso di morire in un pomeriggio emiliano. C’è un flebile contatto in area romanista con il centrale Benatia. Il giudice di porta, l’arbitroPeruzzo, ha un soprassalto d’ego e legge nel colpo d’anca a pochi passi da Morgan De Sanctis, ciò che l’arbitro deputato a decidere, l’internazionale Nicola Rizzoli, proprio non vede. Sansone cade, si rialza, passa più di duecentocinquanta secondi, un’eternità, nel dubbio filosofico tra il prendo e porto a casa e l’ammissione di un regalo immeritato. Poi cede. Confessa. Scagiona l’avversario. Trasforma in cenere l’ultima possibilità di salvezza del piccolo Sassuolo. Rifiuta il dono. Così il calcio di rigore che avrebbe potuto mutare il destino della sconfitta in orizzonte differente, sparisce all’improvviso. E lascia Sansone solo. Nudo. Smarrito in una responsabilità troppo grande. Nella fredda terra di mezzo in cui il fair play non vale neanche uno straccio di coperta e il sogno di mezza estate tramonta al passo rapido delle occasioni mancate. Che pensieri gli abbiano riservato tifosi, compagni di squadra e vertici di Confindustria alle prese con il loroBorgorosso Football Club a fine gara è intuibile.

 Certe cose non si dicono e in ogni caso, è sempre meglio dirle dopo. Per anni, ai procacciatori di tiri senza opposizione dagli undici metri, alle volpi astute capaci di acquattarsi a un metro dal portiere e poi cadere folgorate al minimo contatto, toccava la nomea di cascatori e una certa riprovazione collettiva ampiamente attenuata dalla gratitudine del branco. Di quella gratitudine omertosa, a Sansone, nello spogliatoio del Mapei Stadium (quando anche il nome trasmette un certo vento pretenzioso), non è toccata la carezza. Il suo allenatore, Di Francesco, in un mare di lamentele e mulinelli dialettici, ha pensato di difenderlo scippandogli persino la medaglia dell’onestà: “Il mio calciatore non ha mai detto all’arbitro che il rigore non c’e ra ”. Niente gloria. Niente consolazione. Niente premio. Niente similitudini con Hunt del Werder Brema che pochi giorni fa, nella gara con il Norimberga, dopo una caduta, aveva convinto l’arbitro a togliergli il regalo immeritato. Quando il Mirror mise allo specchio un enciclopedico decennio di furbate per restituire una fitta lista di professionisti del ramo, piovvero nomi che da Rivaldo a Simeone scendevano fino al nostro Gilardino. Di Gianluca Sansone, figlio di Paisà, in quel Pantheon non si troverà traccia.
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