(U.Trani) «Non l’ho mai battuta perché, forse, le voglio ancora bene».Vincenzo Montella, 39 anni, ne fa una questione di cuore. In 6 precedenti, 2 con il Catania e 4 con la Fiorentina, nessuna vittoria contro la sua Roma. Due pari con il club siciliano e da tecnico viola, solo sconfitte, compresa quella nel quarto di Coppa Italia (gennaio 2013).Amore, dunque, e anche rimpianto, come si nota da quel sorriso quasi trattenuto e non completo con cui accompagna la battuta. Più suo che dell’attuale società. Perché sulla panchina giallorossa, a parte l’esperienza con i Giovanissimi, rimase poco meno di 3 mesi, non confermato dai dirigenti della nuova proprietà: lasciò la squadra in Europa League e il posto a Luis Enrique. L’anno successivo pure il Catania, per tornare a Trigoria. Ma si fermò a Casalpalocco, a casa sua, prima di andare a Firenze. Scelsero Zeman, l’allenatore che avrebbe voluto allenarlo e che invece restò solo spettatore di 103 gol nelle 252 volte in cui l’Aeroplanino decollò in campo con la maglia della Roma. Nell’estate scorsa il prolungamento fino al 2017 con la famiglia Della Valle. Nel contratto la clausola per liberarsi nel caso in cui gli arrivasse la proposta di un grande club. Il nome c’è: il Milan. Lo vuole Barbara Berlusconi. Dipende, però, dalla penale da pagare a Seedorf. Se troppa alta, promozione per Pippo Inzaghi.
DISTACCO ECCESSIVO – «Mi ricordo bene tutte le gare con loro. Solo per l’ultima, all’andata, ho accettato la sconfitta. Ci poteva stare. Negli altri casi no. A Catania ho avuto tante chance per segnare. Con la Fiorentina spesso siamo stati superiori anche nel gioco» chiarisce Montella che riconosce solo il 2 a 1 dell’8 dicembre come verdetto meritato. «Hanno tanti campioni. E la forza è nei ricambi, negli uomini che possono entrare in corsa. All’Olimpico ci pensò Destro, uno che di gol in A ne ha fatti già quasi quaranta. E in panchina c’era pure l’altro, da duecentocinquanta reti». Non lo nomina, è il suo amico Totti. «Non so se hanno inciso i nostri numerosi impegni infrasettimanali o le nostre assenze pesanti, ma a parità di condizioni non credo che ci siano ventuno punti di differenza tra noi e loro. Sono tanti, troppi».
BIANCONERI STREPITOSI – «Se la Juve non avesse vinto a Udine, la Roma avrebbe avuto maggiori chance. Ora è dura, anche se è già successo di vedere il sorpasso all’ultima giornata». Vincenzino è così, non vuole illudere i suoi vecchi amici e quei tifosi che gli vogliono un bene grande così. «L’annata dei giallorossi è stata straordinaria, ma hanno trovato chi è andato più forte. Alla fine vince il migliore e i bianconeri mi sono sembrati imbattibili». E se lo dice lui che, qui al Franchi, è stato l’unico capace di segnar loro 4 gol, qualcosa sta a significare. «Noi e loro giochiamo un bel calcio, ma non credo che sia corretto dimenticare proprio la Juve, autentica corazzata. La Roma non mi ha sorpreso: è completa. Di Garcia sapevo che aveva vinto in Francia, ma l’ho seguito solo in questa stagione. Ne parlo bene perché, a Roma, abita vicino a me e spero di affittargli casa mia l’anno prossimo…» scherza Montella. «Ha il gruppo e il singolo dalla sua parte. Ogni giocatore dà tutto anche quando è coinvolto di meno. E’ pragmatico, cura i particolari, scorge le situazioni di gioco e le sfrutta. La Roma ha equilibrio e si comporta da squadra. Io non snaturo, però, la Fiorentina. Abbiamo, comunque, attaccanti simili. Dobbiamo concedere poca profondità a Gervinho e limitargli i rifornimenti». Chiama Ljajic: «Non ha avuto continuità e noi siamo pronti a riprendercelo. In prestito, se però gli pagano lo stipendio…».
ARBITRO INDIGESTO – «Sono certo che sarà un’altra bella partita tra noi». Montella la userà come prova generale per la finale di Coppa Italia contro il Napoli. Ritrova il signor Mazzoleni che lo ha chiamato «Lamentino» dopo le proteste al termine di Cagliari-Fiorentina. E’ lo stesso direttore di gara che qui fece arrabbiare Vincenzino nell’ultima visita giallorossa al Franchi. Non vide un mani in area di De Rossi.«Considerando quel che dissi e quanto successe a Cagliari forse voleva essere un complimento, perché poteva anche definirmi lamentone».