(E. Gamba) – Antonio Conte è nato con il fuoco della polemica dentro, già gli bruciava quand’era calciatore (ma doveva frenarsi, sennò Moggi lo multava) e che lo ha acceso fin dal suo primo giorno come allenatore capo: stava sulla panchina dell’Arezzo e litigò forte con Sasà Campilongo, tecnico della Cavese. Era il 6 agosto 2006, si era a Norcia, era la prima amichevole estiva della sua prima stagione con la sua prima squadra. Conte a volte si lascia incendiare dal suo istinto. Delle altre, incendia invece con la lucida strategia del piromane, perché non sempre (o addirittura quasi mai) nel calcio si litiga perché la frizione slitta e i freni inibitori s’allentano ma perché c’è una necessità tattica e/o psicologica di farlo: in questo senso, Mourinho è il maestro di riconosciuto, l’autore dei più grandi capolavori della polemica mondiale. Conte ha l’inclinazione per diventare un caposcuola, ha un talento naturale che ha saputo coltivare. Garcia sembra invece soprattutto un polemista da tavolo, per litigare deve sforzarsi. Di quand’era in Francia non c’è memoria di grandi risse verbali, ma ha capito in fretta che in Italia l’aria, le abitudini, le necessità, i doveri e magari anche i diritti sono diversi. Così, è stato pesantissimo con Reja alla vigilia del secondo derby, ha inventato «la legge Destro» contestando la squalifica televisiva del suo centravanti e ha rischiato di venire alla mani con il vice di Ventura, Sullo, alla fine di Roma-Torino, giorno in cui l’allenatore granata svelò una verità che molti avevano già intuito: «Garcia è qui da appena sei mesi ma ha già capito come si fa».
Si è italianizzato in fretta. Secondo alcuni, è andato oltre: si è romanizzato, calandosi alla perfezione nella complessa mentalità calcistica della capitale. Conte non ha invece bisogno di studiare per essere se stesso. Lasciando da parte le vecchie questioni (da Campilongo fino ad Allegri, e da tecnico aretino si scagliò pure contro la Juve), quest’anno ha avuto da dire con Guardiola, Mazzarri e Benitez, nonostante mesi di semi-silenzio stampa. Ma è chiaro che il vero dualismo, alla lunga, si sarebbe instaurato con Garcia, perché è attorno a loro che si sta polarizzando il calcio italiano: sono due figure magnetiche, carismatiche, mediaticamente molto interessanti. Non potevano non andare in conflitto, alla lunga. La polemica, d’altronde, è latente dalla gara d’andata, che la Juve vinse 3-0 perché, disse Conte alla fine, «l’allenatore italiano l’ha preparata bene». Già alla vigilia aveva accennato qualcosa, spiegando che «il nostro calcio non ha bisogno di novità perché le nuove leve hanno idee straordinarie»: Garcia aveva colto i riferimenti sottili a lui medesimo, ha trangugiato e alla prima occasione buona ha piazzato il suo colpo. La rabbia romanista ha attecchito alla vigilia di Juve- Livorno, quando Di Carlo tenne in panchina i diffidati Paulinho e Greco e Spinelli anticipò la partita con dichiarazioni molto arrendevoli. Per il resto, non si può dire che davanti alla Juve (da dove in silenzio si addita la mordibezza di Chievo e Parma davanti i giallorossi) siano stati srotolati i tappeti rossi. Ma se c’è una possibilità di vincere lo scudetto ce la si gioca anche in questa maniera, mandandosele a dire. Conte l’ha fatto con tutti quelli che in questi anni si sono messi sulla sua strada, e d’altronde l’hanno fatto tutti quelli che si sono messi sulla strada di Conte. Che, se andasse all’estero, avrebbe solo il problema della lingua: nel caso potrebbe chiedere a Mourinho e a Garcia come si fa a imparare in fretta quelle cento parole necessarie e scatenare una polemica.