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ORA D’ARIA “Riflessioni sparse” di Paolo Marcacci

Ora d'aria di Paolo Marcacci
Ora d’aria di Paolo Marcacci

Più che un’ora, questa è una boccata d’aria.
Questa settimana infatti ci regaliamo qualche cartolina da un altro calcio, o se preferite da un calcio altro…
Anche perché se dovessimo restare alle cose italiane dovremmo parlare delle invettive di Conte e delle risposte che meriterebbe, senza considerare che, per le persone di buon senso e per chi ha un minimo di cognizione circa la storia e la geopolitica del calcio italiano, Conte si risponde da solo.
Cartoline da un altro calcio, dicevamo: finali di campionato da sogno e da perdere la testa con le scommesse, episodi già leggendari dettati da un destino benevolo o beffardo a seconda dei casi, semifinali di Champions da caduta degli dei.
Ad Anfield Road, domenica pomeriggio, in un ambiente da sogno che ha accolto in campo il Liverpool contro il Chelsea di Mourinho, Steven Gerrard, colui che è l’incarnazione del Liverpool stesso, scivola a metà campo prima di ricevere il pallone: da una mancata giocata banale, nasce la fuga di Demba Ba, che deposita sotto la Kop l’impensabile – anche per i bookmakers – zero a uno. Tra le facce del calcio,quella con cui Gerrard trascina il resto della sua comunque gagliarda partita è destinata a restare negli annali.
Ieri sera, nello sguardo crepuscolare di Pep Guardiola passavano, oltre ai ricordi di un’amicizia di sogni e successi, anche i fotogrammi d’incredulità per una partita mai nata, con Di Maria e compagni che hanno iniziato ad aprire, con lame di platino, squarci rovinosi in mezzo a un Bayern di controfigure dalle pupille spente. Cristiano Ronaldo, che affanna l’Allianz e che alla fine consola i colleghi che Lisbona la vedranno in tv; Xabi Alonso, il fallo immeritevole di sanzione, la finale solo in divisa sociale, la comprensione di Schweinsteiger, che gli spiega di non aver frenato l’inerzia.
Tornando ad Anfield, la corsa di Mourinho sotto lo spicchio di londinesi impazziti, subito dopo lo 0-2 sotto il quale i reds sono stramazzati, vedremo adesso quanto e se definitivamente: mano sul cuore, che è anche uno stemma; professionismo sentimentale ci verrebbe da chiamarlo.
E la banana di Dani Alves? L’unica sopportabile,  in un mare di selfie successivi, Raffaella Carrà compresa. Un morso alla demenza da stadio, per il quale anche la Chiquita ringrazia.
A proposito di stadio: il minuto di silenzio per Tito Villanova, l’aria pregna di rispetto e commozione, a Barcellona come a Monaco di Baviera; sessanta secondi in cui soltanto l’umido degli occhi può fare rumore, senza che nessuno inizi ad applaudire tra un coro e un bombone, come accade da Bergamo a Catania.
Ci tocca rientrare in casa, adesso, dove Beretta ha detto che il nostro campionato ha un grande appeal anche se rimane a venti squadre.
Alla fine, di che parliamo?
Per fortuna, stasera c’è Chelsea -Atletico Madrid.

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