(F.Monti) – Venti squadre in campionato sono troppe ed è venuto il tempo di tornare a 18. L’allargamento, nato nel 2004- 2005, nella stagione successiva a quella del caso Catania, era destinato a rappresentare una parentesi temporale, e come tale di breve durata. Invece va avanti da dieci anni. Sulla necessità di ridurre il numero delle squadre sono tutti d’accordo: giocatori, allenatori, dirigenti, a cominciare dall’a.d. campione d’Italia, Beppe Marotta. Persino il presidente dell’Assocalciatori, Damiano Tommasi, si è espresso in questo senso due settimane fa, riconoscendo che la difesa dei posti di lavoro è importante, ma è più importante la consistenza tecnica del torneo e la solidità economica delle società. Eppure non si fa niente, con la Lega preoccupata soltanto di vendere i diritti tv del campionato a 20 squadre fino al 2018. Il fallimento del torneo con 38 giornate è nei fatti e nel programma di domenica prossima: dieci partite, per un unico verdetto, legato all’ultimo posto buono per partecipare ai preliminari di Europa League. Il che significa che sei partite su dieci sono amichevoli.
Contano solo Fiorentina-Torino, Milan-Sassuolo, Napoli-Verona e Parma- Livorno. Per il resto, tutto è già definito: le prime cinque e le ultime tre posizioni. In Inghilterra il titolo è stato assegnato all’ultima giornata (Manchester City, con due punti sul Liverpool); in Spagna, sabato si chiude con Barcellona-Atletico Madrid, la seconda contro la prima, una specie di playoff per conoscere il vincitore della Liga. Anche in questi due casi il campionato è a venti squadre, ma si tratta di realtà non paragonabili a quelle italiane. Il problema non è la Juve, che ha dimostrato di essere così forte da stravincere il campionato.
L’anomalia è che fra la Roma, seconda con 85 punti, quota altissima e il Livorno, ultimo, ballano 60 punti. Una volta il traguardo dei 40 punti veniva considerato garanzia di salvezza. Quest’anno al Chievo, quartultimo, ne sono bastati 33 per evitare la retrocessione. Nel 2004- 2005, il Bologna era retrocesso (dopo spareggio con il Parma), avendo raccolto 42 punti. Trentotto giornate di campionato sono un format che garantisce un numero eccessivo di partite inutili, con squadre, già salve e lontano dall’Europa, che viaggiano con motivazione a corrente alternata. Le rose vengono gonfiate a dismisura, con tesseramento di stranieri dalle qualità spesso misteriose; il monte-ingaggi sale; la cifra globale derivante dalla vendita dei diritti tv potrebbe essere divisa in 18 parti e non in 20.
Non solo, ma al momento l’attività della nazionale viene soffocata. Scendere a 18 squadre significherebbe liberare quattro giornate, cancellando tre turni infrasettimanali ed evitando che Prandelli debba trattare per tre mesi con i club l’organizzazione di uno stage, con l’impegno di allenamenti senza il pallone. L’aspetto inquietante è che sono tutti discorsi che vengono ripetuti da anni, senza che la Lega di Milano avverta la necessità di muoversi con tempestività per una riforma che non è più differibile. La storia dice che l’Italia dominava nelle coppe europee quando la serie A era a 18 squadre e le retrocessioni erano quattro. Un caso o un segnale?