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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Roma-Juventus Totti
Roma-Juventus Totti

A chi dubitava che potesse non essere una partita agonisticamente valida, basterebbe spiegare che contro di “loro” non può che essere così e dentro quel pronome virgolettato c’è tutto un mondo, dove la contrapposizione tra orgoglio e potere farà scintille in eterno.
l’Olimpico vibra di un’unica corda vocale, di fronte al nemico che è sceso col petto gonfio e neoscudettato. La Juventus di Antonio Conte, tarantolato come se avesse qualcosa di cui lamentarsi, ha il ghigno di Chiellini – un Freddy Kruger senza acne – e la malizia fallosa di Liechtsteiner, oltre che l’occhio ceruleo di Llorente. Spigoli, spuntoni e gomiti chiodati, all’interno delle due aree: bene così,  Roma-Juve solo in una galassia lontana potrebbe essere diversa. Gervinho, da subito, fiuta il sentiero; Totti è sempre il signore della balistica e cerca il punto g della porta dentro la quale l’affittuario  Storari si atteggia a padrone di casa. Rovesciamenti di fronte e occasioni: manovriera la Roma che ara il terreno come fosse l’acconciatura di Nainggolan; pronta la Juve al morso velenoso – un po’ come fu all’andata -, ispirata dal sonaglio di Pirlo che sale in cattedra col passare dei minuti. Freddy Chiellini comincia a cercare la collisione con Totti a più riprese, non trova la mano del Capitano per una pace ipocrita. La prima frazione finisce a reti bianche, ma la noia deve cercare altrove il suo zero a zero ideale: qua ci si diverte e, se si potesse, ci si prenderebbe a calci nel culo I cartellini di Russo escono dal taschino scivolando sul lubrificante dell’agonismo: affamato di campo dopo il mese dei soprusi, ne fa le spese Destro a inizio ripresa. Col passare dei minuti, la fame della Roma comincia a prevalere sull’orgoglio juventino; Asamoah è ingolosito dall’entrata dura come un tredicenne americano da un cheeseburger; Taddei per De Rossi dopo cinquantacinque minuti: punge il muscolo caro a Prandelli, sovrana regna la cautela. Nel cuore della ripresa, laddove ogni partita trova quasi sempre il destino che le compete, salgono i decibel della Sud e le scorrettezze di Chiellini, come andassero di pari passo. Pjanic si cerca la vendetta a metà campo, dopo una gomitata in piena area: prova tv? Se no, è solo perché il difensore bianconero non è affatto telegenico. Nel frattempo, alle curiosità della vigilia circa il suo utilizzo tra i pali, Skorupsky, bello come un modello di Dior, risponde col suo metro e  novanta di reattività e ottimi posizionamenti. Il motore di Gervinho si fa più elastico quando agli altri, juventini per primi, l’acido lattico comincia ad abbassare il limite dei giri: premesse di un bel finale? Intanto Skorupsky si fa trovare pronto sulla sortita di Liechtsteiner, al minuto settantuno. Nel finale Conte chiama pure Osvaldo, accolto come Caino a un convegno sulla fratellanza; il baricentro dei bianconeri si abbassa, la Roma prova a entrare palla a terra; Garcia si gioca il finale coi pistoni di Florenzi, in molti pensano sia il grimaldello ideale per gli ultimi giri di lancetta: esce Destro, comprensibilmente opaco; Totti più avanti. Marchisio per il finale juventino, Bastos in barella per cause muscolari, almeno questo sembra in tempo reale. Pogba dalla distanza, basso e teso: Skorupsky senza esitazioni; giallo per Totti, che trova lungo il cammino una caviglia di Chiellini: cose che capitano, soprattutto quando uno se le cerca. Torosidis asfalta Tevez, mentre l’apache se ne va a sinistra: giallo acceso. Quattro di recupero, Roma in pressione, Juve di rimessa: l’ultimo secondo è di Osvaldo, nel deserto dei tartari a centro area. Zero a uno con chiome, naturali e sintetiche, al vento. l’Olimpico saluta la sua squadra, comunque regina.

Paolo Marcacci

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