Ultima di campionato e prima del futuro, bivi di carriere che incrociano e confondono partenze e traguardi, esordi e congedi.
I guanti di Skorupsky provano a coccolare con presa salda il futuro; sotto la striscia d’ombra del primo tempo si dipana la corsa agile di Ricci; in mezzo ai loro primi passi scorrono i fotogrammi dell’espressione di Rodrigo Taddei, del suo ultimo atto che vorrebbe dribblare i titoli di coda.
Il prato del “Luigi Ferrariis” è per tre quarti scaldato da un sole che ha già promesse di riviera; nonostante questo la partita, pur senza dannarsi l’anima, viaggia sul binario di un agonismo accettabile e non regala del tutto il biglietto ai due estremi difensori, costretti a turno a dare segni di vita e concentrazione.
Il possesso palla della Roma è garanzia di corretta interpretazione, di voglia di onorare numeri e stagione, di suffragare gli aggettivi con l’ennesima conferma. Nainggolan se non contrasta non si diverte, come fosse sempre il mondiale che meriterebbe, Castan e Benatia – capitano di giornata – offrono il consueto presidio, Jedvai mostra per il momento contenuta eleganza alternata a voglia di strafare, Bastos morde l’erba come avesse fame di riconferma.
C’è tempo anche per Totti, venti minuti di gratifica per il pubblico genoano, più che altro; gli viene scaricata la palla ogni volta che se ne ha l’occasione: il modo più elegante per far girare le lancette dell’ultima uscita stagionale.
Come si pronuncia Fetfatzidis, autore della rete che fa sorridere Gasperini in panca e Preziosi in tribuna? Non ha più importanza a questo punto, perché al triplice fischio di Irrati già cade nell’oblio l’uno a zero rossoblu, buono per gli almanacchi e per le statistiche che poco ormai hanno da dire.
La Roma non ha tempo neppure per farsi i complimenti per un’annata che traccia il sentiero del futuro, proprio perché quel futuro è già cominciato: la premessa migliore per le soddisfazioni venture.
Ora è tempo che qualcuno inizi a metterci la firma.
Paolo Marcacci