(A.Catapano) Ora Simona non riesce a stare ferma. Si alza, fa un paio di passi, torna indietro.Si sistema i capelli, mette a posto la giacca. Si risiede. Dietro la porta rossa della terapia intensiva, c’è il suo ragazzo, e lei freme come al primo appuntamento. Ciro Esposito e Simona Rainone, fidanzati da quasi cinque anni.
«Non me lo fanno vedere da due giorni, ma sembra passato un secolo. Non ce la faccio più». Tutto intorno, scene di esultanza come se avesse segnato Maradona. Non ha una spiegazione logica, ma forse c’è anche la mano di Diego (oltre alla bravura degli avvocati e all’umanità del gip) dietro la scarcerazione di Ciro Esposito. Giovanni riferisce che è bastato nominare quella parola magica — Ma-ra-do-na — perché il figlio aprisse gli occhi e muovesse la testa. Crederlo, in effetti, fa stare meglio. Giovanna, per dire, si sente più sollevata, «mio figlio è libero!». Giusto, anche se tecnicamente ancora in arresto e con nuove ipotesi di reato: da rissa, detenzione di materiale pirotecnico e lancio di oggetti, a rissa e lesioni. A ben vedere, non è una buona notizia. Ma per una sera, questa sera, importa più che le condizioni di Ciro siano «leggermente migliorate, anche se restano critiche», che non sia più piantonato da due agenti e, finalmente, possa trarre conforto da tutti quelli che gli vogliono bene. Simona, innanzitutto. Che ora, finalmente, può entrare.
Simona, come l’hai trovato?
«Sta lottando il mio Ciro. Ho provato a parlargli e lui ha aperto un pochino gli occhi. Mi è bastato».
Da sabato sera sei qui, nella sala d’aspetto del Gemelli.
«E non mi voglio muovere. Lui lo sa e questo può essergli d’aiuto. Devo dargli la forza di superare questo momento… critico».
Come hai saputo che era Ciro il ragazzo gravemente ferito?
«Dalla tv, l’ho riconosciuto dallo zainetto. Ma non subito, all’inizio pensavo che quel ragazzo a terra avesse i capelli troppo scuri per essere Ciro. Lui è biondo».
Non sei riuscita a parlare con chi gli era vicino?
«Un suo amico mi aveva chiamato poco prima che lo riconoscessi per dirmi che gli era successo qualcosa, ma non era niente di grave».
Quando hai parlato l’ultima volta con Ciro?
«Appena parcheggiata l’auto, poco prima che… Insomma, l’ho chiamato, mi ha detto: “Amore, siamo arrivati, ma ti richiamo tra due minuti perché c’è un po’ di casino”. Ecco».
Cosa pensi di Daniele De Santis?
«Dalle mie parti si dice che a offesa risponde difesa. Tradotto: io non lo perdonerò mai».
E del calcio, ora cosa pensi?
«A me non è mai piaciuto. Per me dovrebbero giocare tutte le partite a porte chiuse».
Sai che arriverà il giorno in cui Ciro ti dirà che tornerà allo stadio? Almeno ce lo auguriamo…
«(sorride) Sarà difficile fermarlo, lui vede tutte le partite al San Paolo e spesso va in trasferta, soprattutto all’estero o per le finali di Coppa. Innamorato del Napoli».
Altre passioni?
«Cucina. Venerdì scorso, l’ultima volta che ci siamo visti prima che partisse per Roma, ha cucinato gli spaghetti alle vongole. E il basket, ci giocava prima di farsi male ad un ginocchio».
Una parola per descrivere Ciro?
«Dolce. E forte. Ce la farà».