(A. Elefante/S. Vernazza) – A meno di un mese dal debutto dell’Italia al Mondiale contro l’Inghilterra,Cesare Prandelli, c.t. della Nazionale, dice tutto in un forum nella redazione della Gazzetta dello Sport. Ascoltiamolo.
Quali criteri ha usato per la lista dei 30?
«Tutte le scelte sono criticabili: noi abbiamo convocato questi trenta dopo aver analizzato la stagione e letto i risultati dei test fisici. Ci sono stati giovani che si sono messi in mostra, la maggior parte dei c.t. va in questa direzione e sarebbe stato sbagliato pensare di ringiovanire dopo il Mondiale: 40 giorni molto impegnativi, delicati a livello di recupero e prevenzione, in cui sarà necessario spendere delle energie».
E’ stata criticata la sua scelta di non avvertire personalmente gli esclusi
«Non ho voluto farlo. L’ultima volta a Coverciano per i test li avevo davanti tutti e 41 e gliel’ho detto: “Non chiamerò gli esclusi per avvertirli”. E mi pareva giusto farlo nello spogliatoio perché dire a un giocatore “non vieni al Mondiale” non è solo imbarazzante: di più. Ci tengo a dire che mi dispiace molto anche per Diamanti e Giaccherini: so che vivono una delusione, li voglio ringraziare. E a questi due aggiungo Zaza, che deve soltanto credere di più in se stesso ».
Ma se dovrà privilegiare l’aspetto fisico, perché la convocazione di Rossi?
«L’ho convocato perché quattro mesi e mezzo fa, prima dell’infortunio, era capocannoniere della Serie A e lo è rimasto qualche settimana ancora dopo essersi fatto male, segno che stava compiendo qualcosa di straordinario. La sua chiamata è un messaggio per tutti: se uno vuole una cosa e lotta e fa fatica per quella cosa, merita una chance. Un po’ quello che fece Lippi con Totti nel 2006. Rossi è un campione anche di comportamento, il che non significa che sarà di sicuro fra i 23».
E l’esclusione di Criscito? Significa che chi gioca all’estero ha meno possibilità di essere seguito?
«Questa è stata una scelta tecnica e con tutto il rispetto, non ho lasciato a casa Cabrini o Paolo Maldini. Noi seguiamo tutti i campionati, abbiamo 15 persone che vanno a osservare giocatori in giro per l’Italia e l’Europa e non mi sembra che lo Zenit in Europa abbia fatto chissà che cosa. Quelli del Psg ci sono… Premesso ciò, a sinistra abbiamo anche altre idee».
Tipo Chiellini?
«Non ci penso tutto il giorno, ma ci penso».
Ci racconta la rimonta di Cassano?
«Quando un giocatore riesce a riproporsi in modo positivo e a rimettersi in gioco è come se cancellasse tutte le negatività. I numeri sono numeri: al di là del suo orgoglio e delle sue motivazioni, in fase realizzativa e a livello di ultimo passaggio Cassano è stato qualche metro più avanti rispetto agli altri».
Quest’anno ha dato il meglio da finto nove.
«Può darsi che possa ancora giocare sul centrosinistra, ma in quella posizione mi piace molto: anche assieme a Balotelli. Donadoni è stato bravo a costruirgli questo ruolo. Già due anni fa gliel’avevamo chiesto in Nazionale, ma allora lui era perplesso».
Porterà solo uno fra Cassano e Rossi?
«Nessuno è legato a nessuno: ora avremo dieci giorni di lavoro fisico dai quali mi aspetto risposte anche scientifiche, senza dovermi basare solo sulle sensazioni. Potrebbero venire anche tutti e due: non escludo nulla».
Alcuni c.t. non hanno dati la lista dei 30, ma hanno già scelto i 23.
«Sì, così invece di 2-3 giorni di polemiche sulle scelte ne avrei avuti molti di più… Meglio fare una cosa per volta… Credo che i colleghi lo abbiano fatto per evitarsi disturbi, ma a me un po’ di sana competizione non dispiace».
Ma i probabili 23 li ha già individuati?
«Sì, ma voglio delle conferme. All’undici titolare non ho pensato: questo non sarà un Mondiale da undici. Serviranno 23 risorse, 23 giocatori che pensino di essere fra i primi 11, concentrati esclusivamente sulla squadra».
Sarà una Nazionale tatticamente mutevole?
«Un anno fa in Confederations abbiamo cambiato spesso il gioco e spiazzato un po’ tutti. Poter cambiare diventa una risorsa, per questo lavoreremo su due-tre moduli: il 4-3-1-2, il 4-5-1 e il 3-5-2. Più difficile pensare al 4-3-3».
Non esclude la difesa a tre?
«Giocare a tre non è una scelta retrograda, diventa troppo rinunciataria se la fai con tre centrali puri e terzini difensivi più che esterni. Ma se gli esterni di centrocampo sono offensivi e uno dei centrali è un difensore particolare perché sa giocare la palla, come faceva Scala al Parma, perché no? Poi se giochi contro una punta sola, la difesa a tre diventa per forza a quattro».
La difesa a tre è il motivo per cui nostri club in Europa non funzionano?
«No, non siamo messi così male. Le quattro squadre di vertice del nostro campionato hanno espresso le proprie identità. La Juve non è passata a Istanbul per la questione dell’acqua. Se si fosse qualificata, non faremmo certi discorsi».
Quale«grande vecchio» avrebbe convocato come jolly?
«Facile: Totti. Ci ho pensato, prima dell’infortunio aveva dati straordinari . Poi sono esplosi i più giovani e il futuro è loro».
Balotelli: meglio da solo o con un compagno di reparto?
«Rispondo con i dati, di presenze e gol: in campionato Mario ha segnato 14 gol, è stato praticamente sempre davanti e spesso da solo, anzi da solo ha giocato le sue migliori partite. Con la palla a noi deve stare là, in area, non deve venire incontro, e in questo ha ragione Berlusconi. Se a star là per 10 minuti si annoia, pazienza: deve restare concentrato sui movimenti giusti».
Perché sta più volentieri in area in Nazionale che con il Milan?
«A me non frega nulla che la punta venga fino a metà campo, e i miei centrocampisti non devono assecondare questo movimento, a costo di non dargli la palla».
A che punto è la maturazione di Verratti?
«Siamo stati i primi a credere in lui e ora ha fatto due anni di esperienza in Champions League. Gli ho sempre chiesto di non fossilizzarsi in un ruolo, perché in quello suo al Psg ci sono altri giocatori e ne ha altri davanti. E nel rombo non può fare l’interno».
Ha convocato tre giocatori del Parma, tre della Fiorentina, tre del Torino: è stato un campionato meno deludente di quanto si dice?
«Il futuro è anche trovare giocatori di prospettiva nelle squadre medie. In Serie A appena il 40 per cento dei giocatori è italiano, le prime tre sono fondate al 70% su giocatori stranieri».
Perché la scelta Paletta? E perché come si spiega la sua flessione in campionato da quando si è guadagnato un posto in Nazionale?
«Lui aveva la forte volontà di giocare con l’Italia e guardando il rendimento, ci siamo resi conto che nel suo ruolo tra lui e i nostri giovani non c’è partita. Sì, ha avuto un calo per un’influenza virale, ma ora sta recuperando».
Insigne è alternativo a Cerci e Candreva o a Cassano?
«Candreva non va inteso fra gli attaccanti. Insigne lo è, fino a un anno fa tutti pensavano che fosse una seconda punta da 10-12 gol. Però quest’anno si è adattato a fare anche il centrocampista e di fatto è diventato un’alternativa a Candreva. Può darsi che scelga fra lui e Candreva».
Come valuta l’esplosione di Immobile?
«Ha fatto tanti gol e queste sono le risposte giuste a quelli che dicevano: “E’ un ragazzo”. Fino a dieci mesi fa nessuno lo considerava, lui con caparbietà è diventato protagonista. Nella storia dei Mondiali ci sono degli attaccanti con percorsi simili: penso a Paolo Rossi, a Schillaci. Tutti devono capire che uno può giocare solo una partita, ma può essere “la” partita».
Può essere condizionato dall’incertezza sul suo futuro, dal mercato?
«Andare in una squadra che gioca per la Champions (riferimento al Borussia Dortmund ndr) e per il titolo non è un limite, anzi. Altrimenti è meglio restare in Italia. No, l’incertezza sul futuro non condiziona: se risolvi tutto prima del Mondiale o.k., altrimenti quando sei al Mondiale pensi soltanto al Mondiale».
Immobile è in ballottaggio con Destro?
«Potrebbero andare tutti e due. Il discorso non è “o questo o quello”».
Nessuna delle sette punte è un attaccante centrale.
«Fa parte del cambiamento del calcio, è un principio di cui sono convinto. Non vogliamo dare riferimenti, vogliamo sviare, altrimenti avrei chiamato Gilardino e Toni».
I più dicono che l’Italia si fermerà ai quarti. Sarebbe un buon risultato?
«Il tabellone non l’ho guardato: so che dobbiamo passare il primo turno e che ci dobbiamo organizzare per arrivare in finale. Io voglio arrivare in finale, poi vedremo cosa succederà»
Codice etico, caso Chiellini: ironie, polemiche, attacchi.
«Lo specchio di un Paese in cui tutti sono contro tutti. Il codice etico nacque quattro anni fa e quando Balotelli, che allora era al Manchester, venne espulso, io decisi di convocarlo senza aspettare il giudice sportivo inglese, perché per me Mario non aveva commesso alcun tipo di violenza. Nessuno disse nulla o creò problemi, forse perché il giudice era inglese. In Italia c’è troppa faziosità, questa è l’Italia».
Ma la prova tv è etica?
«Ho grande rispetto per la giustizia sportiva, ma con il nostro codice non c’entra nulla e credo che il codice abbia portato dei miglioramenti. Chiellini era in barriera, voleva fare un blocco e non dare una gomitata. Non mi sento schiavo del codice etico, non sono schiavo di nessuno: ho sempre deciso io, in base a quello che vedevo e sentivo. E lo farò ancora, l’ho detto ai giocatori anche l’ultima volta: lo farò tutte le volte che vedrò un giocatore andare al di fuori del comportamento sportivo. Dare pugni e gomitate non è il mio calcio e se i giocatori un giorno mi diranno di volersi adeguare a certi comportamenti, vorrà dire che non sarò più l’allenatore giusto per questa squadra. Io sono per un calcio duro, ma leale. Il gioco scorretto, antisportivo, c’è solo in Italia: pensateci, non c’è più da nessuna parte»
Preoccupato da queste diatribe?
«No, perché tutte queste polemiche ci fanno bene, arriveremo più preparati sull’argomento e sull’importanza di non fare gesti sbagliati. Se un mio giocatore ha la freddezza di fare uno “scavino” ai rigori dopo 120 minuti, nei 90 deve avere la freddezza di non dare un cazzotto o di non fingere di riceverlo».
Si è sentito solo in questa battaglia? Poco appoggiato dai colleghi?
«Non è questione di colleghi: al nostro calcio mancano i dirigenti. Non esiste che un dirigente abbracci un giocatore espulso. Servono dirigenti che sappiano dire: “No, hai sbagliato”. E invece gli allenatori a volte devono fare i dirigenti, come se non fosse già abbastanza un peso fare il tecnico. Una volta ne parlavo con Guardiola e lui mi diceva la stessa cosa: “Io devo fare l’allenatore e se un mio giocatore non si presenta, che so, all’esame delle urine, la società deve intervenire e multarlo di 50 mila euro”. Così se parcheggia l’auto fuori dal suo posto. Non che tutti si mettono a ridere e dicono: “Che simpatico, guarda come ha parcheggiato”».
In Italia dopo queste dichiarazioni sulla mancanza di veri dirigenti avrà vita piuttosto dura.
« Vorrà dire che avrò un futuro da dirigente».
Ma perché non ha ancora firmato il nuovo contratto?
«Non c’è nessun problema: manca soltanto la firma e se quattro anni fa firmai in un secondo, stavolta ci metteremo un nanosecondo».
Ha avuto telefonate da qualcuno?
Prandelli se la cava con una battuta: «In qualità di dirigente no… ».
Favorite per il Mondiale? «Il Brasile su tutti, Spagna compresa, e non soltanto per un fatto ambientale: ha attaccanti forti che non cadranno mai in 15 fuorigioco di rientro e una difesa all’altezza»
Possibile sorprese?
«Belgio, Colombia e Francia, anche se della Francia non parla nessuno».
Il giocatore sorpresa?
«Pogba può confermare al Mondiale di essere il campione che si è visto in campionato».
A che punto è la proposta time out?
«La Fifa lo ha stabilito per due nostre partite considerate a rischio (contro Costa Rica e Uruguay, gare che si giocano alle 13 locali, ma non contro l’Inghilterra a Manaus, ndr). Le pause si potranno concordare prima della partita tra i due allenatori: hanno lasciato al nostro buon senso la gestione della cosa».
Il senso del ritiro a Mangaratiba, località isolata, a un’ora abbondante da Rio?
«Il posto era stato opzionato anche dalla Germania e alla fine l’abbiamo preso noi. E’ stato scelto per ottimizzare il lavoro giornaliero, per non disperdere tempo ed energie. Ho parlato di questo anche con Scolari, al sorteggio. L’anno scorso, a Rio per la Confederations, stavamo in giro un’ora e mezza sul pullman per andare e venire dall’allenamento, tre ore se le sedute erano due. Preferisco utilizzare quel tempo in sala massaggi o in sala video. Ho cercato di trovare un posto con il campo dentro il ritiro, e poi abbiamo lavorato per avere l’utilizzo dell’aeroporto militare a 40 chilometri di distanza. Tengo a precisare che non si tratta di un resort di lusso».
Le famiglie al seguito? Donne e bambini in ritiro con gli azzurri.
«Chiariamo subito: chi porta la famiglia paga. Avere i familiari con sé può essere un’opportunità per stemperare le tensioni. Ho pensato anche alla Confederations dell’anno scorso. Pensate che cosa sarebbe successo se fosse capitato a noi quello che è successo ad altri, come la Spagna (riferimento allo scandalo prostitute che ha visto coinvolta la nazionale di Del Bosque, ndr). Se uno in ritiro può colmare i tempi morti con una persona cara, con la moglie o i figli, è molto meglio della playstation».
E come vi regolerete con twitter e i social network?
«Sarà il primo argomento all’ordine del giorno in ritiro, anche perché possono diventare un problema pure i tweet dei familiari. I giocatori avranno 2-3 giorni per presentarmi le loro idee. Io non vorrei vietare niente a nessuno, confido molto nel senso di responsabilità: poi è chiaro che deciderò io se accettare o no la soluzione proposta. Se uno ha qualcosa di importante da dire, abbia il coraggio di andare a dirlo in conferenza stampa.»
Perché anche lei non apre un profilo twitter e scrive lì i suoi messaggi?
Risata: «Ma no, ma perché dovrei farlo? Se devo dire qualcosa ci siete voi della stampa. A me va bene così».