(S. Bocchio) La prima volta, ti dicono, è per assurdo quella più semplice. Complicato è ripetersi, quasi impossibile vincere tre volte di fila. Eppure Antonio Conte ce l’ha fatta: terza stagione sulla panchina della Juventus e terzo scudetto consecutivo. Un’impresa per pochi, in Italia. Prima di lui c’erano riusciti solamente Fabio Capello con il Milan e Roberto Mancini con l’Inter dei titoli ottenuti “in segreteria”, come sottolineava perfidamente José Mourinho in riferimento a quello del 2006. Davanti resta unicamente Carlo Carcano, un altro juventino. Quello che vinse per quattro volte di seguito a cominciare dal 1931, mostrando un calcio all’avanguardia sui tempi. Quattro volte che avrebbero potuto essere cinque, se uno scandalo a sfondo omosessuale non avesse spinto la dirigenza a congedarlo prima del previsto.
Un obiettivo che oggi è alla portata di Conte. Glielo dipingeranno come un’impresa al di fuori del normale ma lui si sta già attrezzando per raggiungerlo. Ha fatto capire che parte del gruppo è forse stanca della lunga corsa, lui no. Ed è la garanzia. Perché lui è uno che vuole sempre arrivare davanti agli altri, ovunque e comunque, perfetta incarnazione del desiderio di potere che ha accompagnato il cammino bianconero fin dalla sua origine: arrogante e vincente, come deve essere un allenatore che transita da Torino. I piacioni e i falsi modesti non hanno avuto mai vita facile. Alla Juventus servono la mascella vibrante di Fabio Capello, il senso di superiorità toscano di Marcello Lippi, i continui affondi di Antonio Conte. Il solo Giovanni Trapattoni poteva passare per simpatico anche alle controparti, per il linguaggio immaginifico e la concretezza lombarda.
Ci pensava però Giampiero Boniperti a reggere alla perfezione il ruolo di cattivo. Come lo è stato Conte. Perché dalla squadra ha preteso, venendo ripagato con un campionato come in serie A non si vedeva da tempo per passo da padrone e continuità di risultati. E perché agli avversari non ha mai concesso possibilità di replica: se gli altri andavano veloci, lui andava ancor più veloce; se gli altri alzavano la voce, lui aumentava ancor più i toni. Un campionato mai messo in discussione, soltanto i giornalisti hanno provato a tenerlo in vita quando tutto era ormai deciso. A fare da contrappunto negativo c’è stata però l’Europa, con una Champions League abbandonata prima del previsto e con un’Europa League salutata all’ultimo atto prima di poter approdare alla finale da giocare in casa propria. Questo è stato il limite della Juventus, come lo è oggi dei club italiani quando devono confrontarsi all’estero. Da qui riparte la sfida di Conte per la prossima stagione. Da oltreconfine perché, ad annusare l’aria che già sta tirando, si ha l’impressione che Carcano l’anno prossimo non sarà più l’unico allenatore italiano ad aver inanellato quattro scudetti uno dietro l’altro…
E a lezione da Conte dovrebbe andare Rudi Garcia, almeno per un aspetto. Per imparare che il calcio da noi è prima di tutto una questione di nervi, grazie ai quali a volte Davide ha la meglio su Golia: più scarsi, ma più determinati. Il tecnico francese ha ricevuto applausi (meritatissimi) per la stagione inimmaginabile vissuta con la Roma. L’ha ricostruita sulle macerie lasciata da Zdenek Zeman, l’ha riproposta competitiva dopo un mercato fatto più per incassare che per spendere. Con 85 punti avrebbe vinto più di un campionato, in passato. Ha dovuto accontentarsi del secondo posto, con il merito di disturbare – sia pure da lontano – il cammino della Juventus. Ma a livello dialettico deve imparare ancora parecchio da noi italiani. Garcia si era presentato bene, picchiando duro (e non si sa con quanta consapevolezza) sugli ultras giallorossi a inizio stagione.
Ma poi ha finito per infilarsi in una serie di luoghi comuni che l’hanno portato al livello medio di dichiarazioni di rito così ben conosciute: quelle cui a una causa x corrisponde un effetto y. Fino alla frittata conclusiva, quel “tanto lo scudetto l’ha vinto già la Juventus” sfuggitogli alla vigilia di Catania. Tutti abbiamo visto come sia ingloriosamente finita la trasferta siciliana, mentre Garcia si affannava inutilmente a sottolineare come la prestazione non fosse figlia delle sue frasi. Per primo sapeva benissimo che non si trattava della verità, scoprendo sulla propria pelle come in Italia non si possa allentare minimamente la tensione se vuoi ottenere risultati, in ogni campo. E questo Conte può insegnarglielo benissimo.