(A.Angeloni) Luis Enrique torna a casa. Un po’ come Lassie. Qui, a Roma, non ci si è sentito. Era un fanciullino quando Franco Baldini gli affidò la panchina della Roma. Troppo inesperto, troppo fragile. Roma non l’ha vissuta, abitava a Formello, lontano dal cuore giallorosso. Ha evitato le pressioni invece di viverle e combatterle. Ma ormai è acqua passata. Lui non rimpiange Roma e la Roma, pochi da queste parti rimpiangono lui. Il destino gli ha regalato il Barcellona, dove sicuramente potrà esprimere le sue idee e tutti le asseconderanno. La situazione migliore. Allenerà Messi, «il numero uno al mondo, uno come lui mi dà ampie garanzie», sentenzia Luis il giorno della sua presentazione al Nou Camp. E chissà se Leo, se mai dovesse tardare di cinque minuti l’arrivo a una riunione tecnica, verrà escluso dalla formazione titolare? Chissà, appunto. «È un giorno molto speciale per me – ancor a Luis – cominceremo a costruire una squadra che può far sognare. Quando sono andato alla Roma, qui mi hanno salutato con un arrivederci, dicendomi che sarei tornato presto: sono stati di parola. Stare qui per me è il massimo, è la squadra del mio cuore: sono consapevole delle responsabilità e delle difficoltà di questo progetto. Non vedo l’ora di tornare ad ascoltare l’inno del Barcellona».
RICORDI ROMANI – Da Messi a Totti, o viceversa. «Francesco è una persona speciale e con lui ho uno splendido feeling. Le voci sul mio rapporto col capitano mi perseguitano come mi è successo con Tassotti e la gomitata del ’94. Il giorno in cui annunciai che stavo lasciando la Roma, uno dei pochi giocatori che era al mio addio è stato Francesco Totti. Con lui ho avuto un rapporto meraviglioso e anche con molti altri giocatori della Roma sono ancora in contatto. A prescindere da quello che si dice e scrive, la realtà è molto diversa. E con Francesco, il capitano, posso dire che ho tutt’oggi un grande rapporto». Con tutti. Su questo non ci sono dubbi. Il problema è aver fatto l’allenatore a Roma e troppo presto.