(A.Austini) Quando vince non ride. Anzi, si lamenta. Figuriamoci se perde. Antonio Conte, sempre lui, quello che dà lezioni di etica alla Roma e a Garcia «perché fanno chiacchiere da bar e alimentano la cultura del sospetto», ha mostrato il suo lato peggiore dopo l’ennesima delusione europea. Il lato del «piangina», come si divertono a chiamarli al Nord. O, se preferite, del «provinciale» per usare le sue stesse parole.
Non era la Champions, ma una finale da giocare in casa contro il Siviglia rappresentava l’occasione giusta per smentire il teorema della Signora capace di dominare soltanto in Italia. Con ogni mezzo. E invece è passato il Benfica ridotto in 10 uomini, poi in 9. Una squadra che paga lo stipendio più alto, circa 1 milione e mezzo di euro, al capitano Luisao contro il monte ingaggi da oltre 100 milioni del club di Agnelli.
Colpa della Juve, incapace di segnare un gol? Macché, dell’arbitro. «Ha permesso ai portoghesi – l’accusa del tecnico – di fare ostruzionismo dall’inizio alla fine. Si è giocato appena 49 minuti effettivi. E ci manca un rigore sacrosanto dopo quello dell’andata su Chiellini. Evidentemente le loro lamentele preventive sono servite, forse dovevamo piangere anche noi».
Farlo prima o dopo cambia poco. È sempre una questione di cultura sportiva. O no? Ma Conte è un allenatore sull’orlo di una crisi di nervi nonostante sia prossimo a festeggiare (forse già domani) il terzo scudetto su tre campionati alla guida dei bianconeri. Al popolo bianconero (e alla proprietà) non basta, perché una squadra costruita per vincere tutto è uscita dalla Champions in un girone con Galatasaray e Copenaghen e si è fermata ai quarti di Coppa Italia. Vincere solo il tricolore è un po’ «provinciale» e il flop in Europa League brucia tantissimo. «Ci sentiamo presi in giro – aggiunge Conte – e anche l’Uefa deve rispettarci di più, mandandoci arbitri all’altezza».
Il nervosismo del condottiero ha contagiato la squadra. Vucinic si è scagliato dalla panchina contro l’ex compagno romanista Artur e si è fatto espellere insieme al serbo Markovic intervenuto per placare gli animi. Almeno Marotta ha avuto il buon gusto di non aggiungere altro.Forse lui ricordava cosa aveva detto a proposito della querelle a distanza con Garcia. «Posso garantirvi che quando la Roma vincerà, noi saremo i primi ad applaudire».
Con il Benfica non è successo. Ci rimette tutto il calcio italiano: all’inizio della prossima stagione si ritroverà al quinto posto del ranking Uefa, scavalcato proprio dai portoghesi. Ma per ora i posti in Champions ed Europa League non sono a rischio. Aspettando di vedere quanto sobria sarà la festa scudetto, in casa Juve ora scatta inevitabilmente più di una riflessione sul futuro. A partire da Conte. C’è bisogno di un rinnovamento per consentire al «martello» leccese di tirar fuori nuovi stimoli dai giocatori: quelli di oggi li ha tartassati abbastanza. È lui il primo a chiedere rinforzi, ma i suoi desideri si scontrano con la strategia oculata del club. La proprietà ha scelto la via dell’autofinanziamento e sembra orientata a cedere Pogba, anche se nel frattempo sta cercando di «coprirlo» con un nuovo contratto. Passi per l’imminente firma di Pirlo fino al 2016, servono innesti in tutti i reparti per affrontare l’unica, vera sfida dell’anno prossimo: giocarsela in Champions.
Senza un mercato di livello, Conte – che ha un altro anno di contratto – potrebbe farsi da parte e cercare un’avventura all’estero. Dove, a dire il vero, non c’è la fila per lui.
E la Roma? Inutile negarlo: se la ride sotto i baffi. «Non ci sentiamo inferiori alla Juventus, e siamo pronti per dire la nostra anche in Champions» il messaggio di Florenzi. La voglia di rivincita sarà ancora l’arma dell’anno prossimo. E pazienza se è un atteggiamento da «provinciali».