(F. Schito) – Chissà se avranno avuto una strana sensazione di deja vu Vincenzo Montella e Demetrio Albertini, ieri seduti in tribuna Autorità, al momento della sospensione della finale di Coppa Italia. L’allenatore della Fiorentina e il vicepresidente della Federcalcio, quella domenica del 21 aprile di dieci anni fa, erano avversari nel derby sospeso dello stadio Olimpico.
Dinamica simile a quanto accaduto ieri, anche in quell’occasione furono i tifosi ad imporre la loro volontà. A differenza della gara tra Napoli e Fiorentina, quel Lazio-Roma era cominciato senza troppi intoppi, nonostante gli incidenti verificatisi nel prepartita. Il primo tempo era ormai giunto al termine in un’atmosfera relativamente tranquilla, quando nelle due curve si era iniziato a spargere il più terribile dei sospetti: durante i tafferugli, un’auto della polizia avrebbe investito un bambino lasciandolo senza vita. Un tam tam di telefonate e messaggi tra le due curve e le persone a casa, la voce si era ormai diffusa ed autoalimentata. A nulla erano valse le parole, attraverso gli altoparlanti, di un funzionario della questura che negava l’accaduto.
Impossibile ricominciare a giocare: questa la convinzione delle due tifoserie. Si riprende, ma dura solo tre minuti, poi i cori intonati dalle curve, i razzi in campo lasciano intendere che le condizioni non sono più accettabili. Rosetti sospende la partita al 3′ e comincia un conciliabolo tra i capitani, i giocatori, i dirigenti e l’arbitro. Alcuni rappresentanti della tifoseria giallorossa (tra cui anche il tifoso che avrebbe sparato ieri) richiamano a gran voce l’attenzione dei propri giocatori e, dopo alcune titubanze, scavalcano i cancelli della Sud ed entrano in campo per parlare con Totti e Cassano. Gli spiegano la situazione, un bambino ha perso la vita, non si può continuare a giocare. Dagli altoparlanti continua ad arrivare la smentita da parte della Questura: «Nessun bambino è morto, la notizia è infondata».
Ma ormai non c’è niente da fare per convincere gli ultras. La situazione è al limite, i romanisti vogliono interrompere, i laziali no. La tensione è palpabile e i giocatori sono convinti, il clima non è quello per giocare. Poi la decisione: a Rosetti viene portato un telefono cellulare, parla con Adriano Galliani, allora presidente di Lega, e si propende per la sospensione. Partita rimandata. Per fortuna nessun bambino era morto, forse però è morto un po’ del nostro calcio.