(M. Ferretti) – Venti anni fa, Agostino Di Bartolomei se ne è voluto andare senza salutarci. E noi, venti anni dopo, siamo ancora qui a chiederci, a cercare di capire perché l’ha fatto. Una risposta c’è, ma la sa soltanto lui. Noi, anche facendo passare altri venti anni, non la sapremo mai. Ci resta, ieri come oggi e pure domani, la sensazione di trovarci di fronte a qualcosa di impossibile. Impossibile che uno come lui l’abbia fatto… Impossibile che uno come lui potesse farlo… Impossibile. Perché per Ago, il capitano della Roma del secondo scudetto, tutto era stato possibile. In campo e fuori. Un uomo potente, si diceva. Amicizie ad alto, anzi altissimo livello. Porte sempre aperte, ovunque. Pochi sorrisi, tanti fatti. Per tutti, o quasi.
Venti anni dopo lo sparo, siamo ancora qui con quel punto interrogativo nella mente: Ago si è sentito tradito da se stesso o dalla vita? Non sono bastati 240 mesi, 7300 giorni per avere certezze. Dieci anni dopo la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool, Agostino non era più Di Bartolomei. Punto. Andare oltre con opinioni, pareri e bilanci sarebbe da presuntuosi. E soprattutto sarebbe sbagliato. Meglio affidarsi ai ricordi, tanto belli quanto tristi. Da riempire il cuore, fino al punto di spaccarlo.