L’innamorato tradito, quando veramente sente di essere stato colpito alle spalle, se ne va, per non tornare più. Soprattutto se aveva, nel frattempo, concesso già qualche possibilità e qualche forma di perdono.
Perché, allora, i tifosi dovrebbero tornare? Quante volte gli era stato garantito che sarebbe stata l’ultima? In quante altre occasioni gli era stato promesso che tutto sarebbe tornato “normale”, in un paese dove ogni misura è straordinaria e dove vince sempre la provvisorietà del provvedimento e l’emergenza, altro termine abusato, la paga alla fine sempre chi non l’ha causata?
E ogni volta tornano a parlarci di famiglie e bambini, di abbattimento delle barriere, di modelli inglesi, spagnoli, tedeschi. Che sempre ad altri bisogna guardare, come se il buon senso da noi fosse stato ucciso dalla burocrazia, ancor prima che dalla violenza idiota. Per ora soltanto una cosa possiamo chiedere, noi tifosi dal portafogli ricco o povero e dal cuore troppe volte rimesso insieme col nastro della passione che troppo perdona: certi settori non chiamateli più “popolari”, che col popolo, anche quello del calcio, nulla hanno a che fare.
Come disse il poeta, per ora solo di questo abbiamo cognizione, cioè di “Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.
Paolo Marcacci