La maglia non è soltanto l’involucro della passione, che già sarebbe molto comunque.
La maglia è il passaporto per l’eguaglianza tra il facoltoso e lo squattrinato che in essa si riconoscono, costi della passione a parte.
È il drappo di un torneo cavalleresco, il campanile sotto i cui rintocchi ci si affratella, una simbolica mamma di stoffa e simboli, futuro e tradizione, orgoglio e bei ricordi, rari o frequenti che siano.
Ai giardinetti, che poi vuol dire ogni luogo dove ci portavano col primo pallone che volava a ogni soffio di vento, ci portavano con addosso una maglia da calcio, già sacra pure se non originale, grossolana, infantile nei simboli e nei colori.
Ogni anno che ce ne viene presentata una nuova, soprattutto quando è bella come questa – ma difficilmente riusciamo ad ammettere che è brutta, anche quando lo è -, ci sorprendiamo a riflettere sul fatto che non l’abbiamo scelta noi. Ci ha scelto lei, un giorno lontano di chissà quanti anni fa.
La maglia.