(U. Zapelloni) Presidente Abete con che stato d’animo si avvicina al fischio d’inizio di Italia-Inghilterra? «Fiducioso. Rappresentiamo la speranza e la fiducia. La nostra è una grande Nazionale, sempre rispettata». La Gazzetta che si tinge d’azzurro per tifare Italia, il Paese che è pronto a scendere in campo per festeggiare o lanciare i pomodori.
Quanta pressione sente addosso alla vigilia di un Mondiale?
«La pressione c’è ed è doveroso che ci sia. Sono anche il presidente della Nazionale… Sento il desiderio di fare bene come Paese. In un momento come quello che stiamo vivendo, sarebbe bello se il calcio riuscisse a dare un contributo positivo. Lancerebbe un volano importante».
Lei è stato capo delegazione in Germania e presidente federale in Sud Africa. Sente un’atmosfera simile a una di quelle edizioni finite in modo così diverso per noi?
«Direi di no. Il Mondiale ha il fascino del ricordo e adesso sembra che i problemi sorti negli ultimi giorni più che preoccupare diano fiducia. Qualche settimana fa eravamo preoccupati perché non c’erano polemiche».
L’ingaggio di Prandelli, le sue scelte, i costi della spedizione. Adesso qualche polemica è scoppiata. Cominciamo dai costi: 4,5 milioni di euro per una novantina di persone. Corretto?
«Sì sono cifre reali. Ma avremo un utile di bilancio grazie al premio di partecipazione, anche se il Mondiale è meno ricco di un Europeo».
Passiamo alle scelte del c.t.
«Le polemiche erano prevedibili, nell’ultima parte del campionato sono emersi nuovi nomi. Immobile, Insigne, Destro, Rossi: era naturale che ci potesse essere qualche problema».
Per non dire di Totti, Toni e Gilardino…
«Il fatto che siano rimasti in corsa ci dice quanto siano grandi questi giocatori, ma anche quanto sia difficile il ricambio nel nostro calcio».
Come si possono convincere le squadre di Serie A a far giocare di più i giovani?
«A base di motivazioni tecniche ed economiche a loro interne. Non le si può convincere facendo discorsi sull’interesse nazionale o con degli incentivi improponibili, visto che i bilanci di molte società sono superiori a quelli della stessa federazione».
Sorpreso dalla reazione di Rossi?
«Sorpreso, ma la comprendo. Ha perso tre appuntamenti uno dietro l’altro. Ma la interpreto come una manifestazione di attaccamento alla maglia azzurra ».
Il piazzamento minimo da ottenere per tornare a casa soddisfatti?
«Non l’ho mai pensato. Sarebbe metodologicamente un errore. La forza di un gruppo è quella di avere l’aspettativa di raggiungere il risultato massimo. Darsi un obbiettivo vorrebbe dire non avere più la concentrazione per raggiungere il massimo risultato».
Partire con l’Inghilterra non autorizza distrazioni, su questo stiamo certi.
«Il girone difficile ti responsabilizza. Sai di andare con la concentrazione giusta. Siamo spesso andati peggio quando partivamo tra i favoriti. Qui si tratta di sette incontri. Superata la prima fase, poi, tutto può accadere».
Quindi torniamo alla fiducia di cui parlava?
«Bisogna avere fiducia e sapere che Prandelli nelle due competizioni in cui ha guidato la Nazionale è sempre andato sul podio».
Anche per questo è arrivata la conferma?
«No, è arrivata per tanti motivi: apprezzamento per i risultati tecnici e il lavoro ha svolto. La Nazionale rappresenta anche dei valori morali, comportamentali e Prandelli li interpreta in maniera estremamente positiva. Non sarebbe stato giusto far dipendere tutto solo dal Mondiale».
Prandelli costa troppo o costa il giusto?
«Costa il giusto rispetto ad una realtà come quella della nostra federazione. Il tecnico della Nazionale deve trattare con giocatori che sono delle star, dei Palloni d’oro, atleti che hanno trattamenti economici importanti nelle loro società».
Non sono più i tempi dei tecnici che vivono la carriera in azzurro.
«I tempi di Bearzot o Valcareggi erano tempi diversi. Oggi dobbiamo fare i conti anche con il mercato. Ma è da quando arrivò Sacchi nel ‘91 che la Nazionale è andata sul mercato con un tecnico di grande livello».
Le sue favorite sono le solite magnifiche quattro?
«Brasile, Spagna, Germania e Argentina. Brasile e Argentina perché in Sud America non ha mai vinto un’europea. Spagna perché ha vinto l’ultimo Mondiale, gli ultimi due europei e ha avuto tre club sulle quattro finaliste di coppa. La Germania perché, se andiamo a vedere la media ponderata dei risultati a Mondiali ed Europei, ha la media più alta».
Almeno fino a che non incontra noi…
«Speriamo, perché vorrebbe dire che siamo già andati avanti…».