(A. Catapano) – Pochi testimoni, molti «non so, non ricordo», alcune palesi reticenze. Il presunto sparatore che ricorda solo di aver preso «un sacco di botte» ma non di aver impugnato una pistola, mentre i suoi complici sono spariti nel nulla. Il ferito più grave che non è ancora in grado di raccontare cosa gli è accaduto, mentre i suoi compagni ricordano poco e niente o si guardano bene dal metterlo a verbale. Un mese dopo gli incidenti di viale Tor di Quinto, tragico prologo della finale di Coppa Italia, il quadro a disposizione dei pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio contiene ancora troppe zone d’ombra, a cominciare dal movente: cosa ha innescato la sparatoria? Il gesto di un folle o, più probabilmente, un agguato romanista preparato maldestramente? E chi si voleva colpire, il pullman con famiglie o gli ultrà del Napoli? Cominciamo dai fatti.
Prima degli spari Daniele De Santis, alias Gastone, ultrà romanista in età pensionabile e mina vagante dell’estrema destra romana, è accusato del tentato omicidio volontario di tre tifosi del Napoli. Gli avrebbe sparato quattro colpi con una Benelli 7.65 con la matricola abrasa. I pm ne sono convinti, sebbene l’esame dello stub non sia stato completamente positivo e solo un testimone, Raffaele Puzone, lo abbia visto sparare, «anche se — ha fatto mettere a verbale — non sarei in grado di riconoscerlo». Quel che è certo è che alle 18 circa del 3 maggio quest’«uomo corpulento, con la barba, vestito di nero» esce dal suo covo-abitazione, si affaccia su viale Tor di Quinto, dove transitano i tifosi del Napoli, attacca un pullman pieno di donne, bambini e un disabile, con due pericolose bombe carta. Chi è a bordo del pullman, terrorizzato, dai finestrini chiede aiuto ad un gruppo di tifosi napoletani che in quel momento transita sul viale, dall’altra parte della carreggiata. I tifosi, circa una decina di persone, rispondono subito alla richiesta di soccorso, attraversano la strada, individuano il pazzo, che a quel punto comincia a indietreggiare, lo inseguono. In pochi metri gli piombano addosso. Ciro Esposito, riconosciuto da uno dei componenti del pullman per lo «zaino beige », è il primo «a placcarlo e farlo cadere a terra». Accanto a lui ci sono gli altri due colpiti dagli spari, Gennaro Fioretti (anche se non lo ricorda) e Alfonso Esposito (lo ha ammesso), e Raffaele Puzone, che la sera stessa si presenta in ospedale per raccontare la sua versione dei fatti. Un mese dopo, la sua è ancora l’unica testimonianza spontanea a disposizione dei pm. Lo stesso testimone del pullman alla Gazzetta racconta che «Ciro e gli altri non erano armati», che «mentre De Santis indietreggiava nel vialetto, quattro persone incappucciate che erano con lui sparavano petardi e fumogeni» e che «dal momento del placcaggio di Ciro agli spari sono passati 10-15 secondi, ma a quel punto il pullman è avanzato e io non ho visto chi ha sparato».
E dopo… Sappiamo che Daniele De Santis, abbandonato dai suoi complici abili a scappare attraverso una rete, viene pestato da decine e decine di ultrà napoletani sopraggiunti, che con la stessa pistola con cui avrebbe sparato viene ripetutamente colpito alla testa, e che sulla scena del crimine vengono ritrovati pure un paio di guanti neri e un coltello a serramanico. Le perizie di venerdì stabiliranno a chi appartenevano, ma non chiariranno, ad esempio, cosa ci faceva quella jeep bianca sulla scena del crimine e quell’uomo che all’ingresso del vialetto aveva tutta l’aria di fare da «palo». Infine, la domanda delle domande, da girare alle autorità: possibile che davanti al civico 57 di viale Tor di Quinto non ci fosse lo straccio di un poliziotto?