(A. Schianchi) – Il personaggio suscita passioni forti e contraddittorie. O con lui o contro di lui. Vie di mezzo non ce ne sono: zemaniani o antizemaniani. Il territorio del compromesso è una striscia invisibile, mai contemplata. E lui, Zdenek Zeman da Praga, non fa nulla per smussare gli angoli e cercare la strada dell’equilibrio. Anzi: vive di bianco e di nero, il famoso grigio medio non sa nemmeno che cosa sia. Ora, a 67 anni, si rimette in gioco sulla panchina del Cagliari: sempre nello stesso modo, con le sue idee davanti a tutto e a tutti, con il 4-3-3 che è il suo marchio di fabbrica, con il suo gioco d’attacco e della difesa chi se ne importa… La scommessa è affascinante, perlomeno quanto la storia di quest’uomo che, capitato un giorno in Sicilia, a casa dello zio Cestmir Vycpalek, dal niente si è inventato il mestiere di allenatore.
Domanda Nella carriera e nella fortuna di Zeman c’è anche un nome pesante dell’Italia di oggi: quello di Marcello Dell’Utri. L’ex senatore, ora in carcere, era il factotum della Bacigalupo, società di calcio di Palermo, e fu proprio lui ad assumere, su consiglio di zio Vycpalek, il giovane Zeman come preparatore atletico. Da lì una rapida ascesa, qualche panchina in Sicilia, il Supercorso di Coverciano, le esperienze nei campionati professionistici. Anche a quel tempo le squadre di Zeman si riconoscevano per il 4-3-3 e per le macroscopiche distrazioni difensive. I suoi detrattori, non senza qualche ragione, pongono una domanda: che cosa ha vinto? Poco, pochissimo se paragonato alla fama che si è costruito: un campionato di C2 con il Licata e due promozioni dalla B alla A con il Foggia e il Pescara. Ribattono i seguaci del profeta: con lui ci si diverte, lui lancia i giovani, lui fa giocare bene le squadre. Sulla propensione di Zeman a puntare sui giovani, questo è certamente uno dei suoi meriti. Agli ordini di Prandelli, al Mondiale, ci sono Ciro Immobile, Lorenzo Insigne e Marco Verratti: ragazzi di talento cui Zeman ha dato fiducia nel Pescara e loro lo hanno ripagato conquistando la promozione in A. Avrebbero fatto strada ugualmente, perché avevano qualità, ma a lui va riconosciuto il coraggio di averli lanciati. Diciamo che Zeman non guarda la carta d’identità dei giocatori, non li valuta in base a ciò che hanno fatto, ma pensando a ciò che potranno fare.
Applausi Con quella di Cagliari si allunga la collezione di panchine: adesso sono 16. Zeman non è uno che si lega a vita a una squadra: la fedeltà la concepisce soltanto se riferita alle idee. Anzi: all’idea. «Il mio sistema di gioco non lo cambierò mai. Non esiste miglior modo di coprire il campo che con il 4-3-3». I tifosi delle sue squadre lo hanno amato e odiato: possibile che, pur segnando tanti gol, non si riesca a vincere nulla? Non badate a questi dettagli, l’importante è divertirsi, godere dello spettacolo, osservare le azioni come fossero opere d’arte… Il suo periodo d’oro è stato senza dubbio quello del Foggia, primi anni Novanta. Si coniò addirittura il termine Zemanlandia per descrivere una terra dove il calcio era al centro di tutto. Rambaudi-Baiano-Signori, il trio delle meraviglie. Squadra da applausi. Poi ci fu il salto in alto, prima alla Lazio e poi alla Roma. Ma, al di là di qualche buon risultato e di qualche piazzamento, non arrivò quello che tutti gli chiedevano: lo scudetto. Restarono, quelle, squadre capaci di grandi prestazioni e colossali patatrac. Equilibrio zero. In quel periodo la schiera dei nemici di Zeman s’infoltì perché lui osò attaccare la cattedrale del calcio, la Juventus: fu lui a suggerire al procuratore di Torino Raffaele Guariniello l’apertura dell’inchiesta sul doping in casa bianconera. Ricordate il calcio che «frequentava » le farmacie? Zeman era il grande accusatore.
Delusioni Quando cercò di ricostruirsi una verginità all’estero non gli andò benissimo. Al Fenerbahce durò il tempo di un canto del muezzin, alla Stella Rossa di Belgrado fece peggio: venne eliminato dalla Coppa Uefa per mano di una squadra cipriota. Dissero che era finito. Ma Zeman, cocciuto, riuscì a risollevarsi. La promozione con il Pescara è un capitolo importante della sua carriera, meno lo fu l’esperienza alla Roma l’anno successivo quando venne esonerato perché non se ne poteva più di prendere gol assurdi… D’altronde, il personaggio è questo: 4-3-3, verticalizzazioni, calcio offensivo, terzini che avanzano contemporaneamente, centrocampisti che impostano e non contrastano, fuorigioco altissimo, e speriamo sempre di fare un gol in più degli avversari… Non sono ammesse deroghe, questo è lo spartito. E se si perde? Come dice Zeman, «talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti».