(A. Pugliese) – A metà settimana tornerà a Roma, dopo essersi rilassato prima a Garrucha, nella sua Andalusia, e poi al caldo con la famiglia. Anche se in realtà Rudi Garcia «non ha mai messo il piede sul pallone, come i calciatori quando vogliono rifiatare». E se tra qualche giorno sarà di nuovo lì a Trigoria per preparare la sua seconda stagione alla guida della Roma, da poco Rudi ha simbolicamente festeggiato il suo primo anno in giallorosso. Era il 19 giugno scorso, infatti, quando Rudi venne presentato a Trigoria tra lo scetticismo generale («Garcia chi? Quello di Zorro…»), dopo che la Roma aveva inseguito a lungo prima Mazzarri, poi Allegri. Un anno dopo, è tutto un altro mondo. Quello che Rudi da Nemours si è costruito con il lavoro e la fatica.
A caccia di titoli «Sono ambizioso, non ho paura di niente. E sono qui per vincere e divertire», è stato il suo biglietto da visita. Divertire ci è già riuscito e anche bene, rianimando un popolo (quello giallorosso) che dopo l’onta del 26 maggio sembrava respirare con le bombole d’ossigeno. A vincere, invece, ci è andato vicino, accarezzando per un po’ il sogno di riuscirci al primo colpo. Tornerà all’attacco ora, perché appena lo scudetto della Juve è stato matematico, Rudi ha tolto il velo alla nuova stagione, un po’ come i toreri fanno con il drappo rosso davanti al toro: «Il prossimo anno voglio vincere un titolo, la nostra stagione sarà basata su questo». Quella conclusa un mesetto fa è andata invece in soffitta con una serie di record: le dieci vittorie consecutive, il record di punti (85, quello precedente erano gli 82 di Spalletti nel 2007-08) e quello di vittorie totali (26, contro le 24 sempre di Spalletti e quelle di Ranieri nel 2009-10). Tanti vessilli sulla scia di quel «abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio» che resta la frase simbolo della sua stagione. Arrivò dopo il derby della quarta giornata, quello che «non si gioca, si vince» che ne aveva già fatto un monumento nell’immaginario del tifoso giallorosso.
Da Riscone a Trigoria Eppure l’avventura di Rudi non era cominciata nel migliore dei modi, con quel «chi contesta è della Lazio» a Riscone che ha avuto però il merito di aprire uno squarcio nel cielo: Garcia le responsabilità se le prende di petto, senza «lingua di legno». E quella frase ha aperto un cammino fatto di lavoro, fatica, equipe. Quella che ha voluto con sé dall’inizio, Frederic Bompard e Claude Fichaux, i suoi due fedelissimi, quasi imponendoli a Trigoria, tra i tanti viaggi iniziali tra Marrakech, Roma, Parigi e Boston. Il resto è venuto dopo, con il rapporto d’amore costruito con Totti («Uno ancora affamato e umile, con i piedi di Maradona e Platini e il dono di saper giocare con semplicità») e De Rossi («Un grandissimo uomo, capace di rifiutare il Manchester per rispettare la parola che ci eravamo dati») e gli altri leader dello spogliatoio: De Sanctis, Benatia e Pjanic. Sono stati i suoi barometri, in un anno in cui Rudi dopo appena due mesi, già parlava egregiamente la lingua. La sua intelligenza è anche in questo, nella consapevolezza che le vittorie si costruiscono vivendole e condividendole.
Amore sconfinato Del resto, Rudi è stato subito chiaro: «Non c’è differenza tra fare il padre e l’allenatore, i giocatori sono come i miei figli: come si fa ad allenare una squadra senza amare i proprio calciatori?». Già, e così è stato. Anche se la sua prima partita ufficiale, a Livorno, fu un trauma. «Chiesi dov’era il tabellone, restai senza parole quando mi dissero che non c’era». Poi sono arrivate tante altre cose, fino a quel «prima c’era la legge Bosman, ora la legge Destro» e le polemiche con Conte. «Ora basta, suona la campanella, la ricreazione è finita», ha chiosato nel finale Rudi. Quella sfida ripartirà tra poco meno di un mese. E stavolta Garcia vuole vincere, tutto il resto non gli interessa più…