(R.Beccantini) – Siamo fuori. Fuori da tutto. Come in Sudafrica, dove pensavamo di aver toccato il fondo. L’Italia di Prandelli si accomoda all’uscita, spintavi dal ruvido Uruguay di Tabarez. Ha risolto Diego Godin, di spalla. Del progetto che fu, restano macerie. Da qui le dimissioni in massa: Prandelli, Abete.
PIANO CON GLI ALIBI. Colpa nostra, soprattutto, non solo o non tanto di Rodriguez, l’ar – bitro messicano. D’accordo, il rosso a Marchisio (esagerato, non scandaloso) e il morso di Suarez hanno sabotato l’equi – librio. Ma non dimentichiamo il rigore su Cavani e i riflessi di Buffon, provvidenziali nel ritardare la sentenza. Uruguay uno, Italia zero. Il carro attrezzi del blocco Juve non ha funzionato. Il ct si è perso nel labirinto: avesse azzeccato un cambio. La fiducia a Balotelli, nervoso e penoso, ci ha portato lontano dalla meta, troppo lontano, e nemmeno l’impiego di Immobile, sdoganato a furor di popolo, è riuscito a correggere la rotta. A Natal si è consumato uno scempio. L’abolizione del tiro ha segnato il nostro destino. Con gli inglesi, almeno, ci avevamo provato. Con Costa Rica, meno. Con l’Uruguay, mai. Incredibile: proprio nel momento in cui il tiki taka viene deposto dal ritorno del calcio verticale, l’Italia prandelliana adotta il palleggio come fine e non già come mezzo, facendone una sorte di manifesto. Un giorno, Prandelli dovrà spiegarci il paradosso. E poi il consumo di benzina. Dalle Coppe europee alla Nazionale, la nostra velocità di crociera rimane miseramente bassa. Modesto il campionato, mediocre la Nazionale: non si scappa. Il fallimento coinvolge l’intero sistema: dai dirigenti ai giocatori. E il caldo vale per tutti, avversari compresi. Incredibile: l’infortunio di Montolivo ha sfasciato il centrocampo e messo in crisi il castello del ct. Montolivo, non Xavi.
IMMAGINAVO una partita aspra, sporca, cattiva. Lo è stata. Squadre a specchio, visto che pure loro hanno difeso a tre (Caceres, Gimenez, Godin). Ripeto: una punizione di Pirlo, smanacciata dal portiere. Non ricordo altre conclusioni, neppure nel concitato finale, quando ci siamo affidati alla provvidenza manzoniana. Su Pirlo, il nostro radar, ronza Cavani. Suarez mendica munizioni. Scontato il copione: noi a portar palla, con Pirlo, con Verratti, del quale rammento tocchi educati e poco altro; gli uruguagi a buttarsi sulle briciole, come al 33’, quando Buffon salva su Suarez e Lodeiro. Balotelli, agitato e ammonito. Avrebbe saltato gli ottavi, comunque. Immobile sembra un intruso: o in fuorigioco o nel posto sbagliato al momento sbagliato. Darmian e De Sciglio, al rientro, sono timidi. Arévalo Rios è il De Rossi “charrua”, un traliccio ficcato davanti all’area. Tra Chiellini e Cavani è tutto un ribollir di gomiti, Bonucci e Barzagli tengono d’occhio Suarez. Una damigiana di veleno, ecco cos’è la partita. Cambia, la musica, nella ripresa. La musica, non il gioco: squallido, sempre. Sia gli azzurri, né catenacciari né offensivisti, sia i celesti, in attesa perenne di un episodio (arriverà, arriverà). Prandelli toglie Balotelli e si aggrappa a Parolo. Non a Cerci, non a un attaccante. Una polizza sul pareggio. Tabarez, lui, richiama Lodeiro e sguinzaglia Maxi Pereira. Gli episodi crepitano: Bonucci a rischio penalty su Cavani (50’), Buffon graziato da C. Rodriguez, Marchisio espulso per una pedata – pla – teale, più che violenta – ad Arévalo Rios (59’). Figuriamoci. Tabarez ricorre a un’altra punta, Stuani: esce Alvaro Pereira. L’Uruguay ci spinge alle corde, Buffon si supera su Suarez (66’), Pirlo e Verratti provano ad animare un minimo di resistenza. Cassano al posto di Immobile, zoppo, sa di testa o croce (71’). Salta il polpaccio di Verratti, riecco Thiago Motta (74’). Si agita anche l’Uruguay: dentro Gaston Ramirez, fuori C. Rodriguez, uno dei più tosti. Ci siamo. Suarez rifila un morso a Chiellini, aggiornando la sua collezione (Ivanovic, eccetera). È l’81’, quando la cronaca diventa storia. Angolo, testa- spalla di Godin, Buffon si allunga. Non basta. A casa: giusto così.