(G.Romagnoli) – Non l’arbitro Moreno 2, più che un sequel un alibi. Non i suoi giocatori, non eccelsi, eccessivamente stremati e nervosi, ma non più scarsi almeno di inglesi e uruguagi. Si è battuto da solo, tradendosi, rinnegando le proprie convinzioni. È ritornato se stesso soltanto con il gesto onorevole delle dimissioni, non doverose. Quando una persona perbene, con idee e ideali si assume una responsabilità non ha scelta: deve vincere o morire seguendo il proprio pensiero, serenamente, senza dubbi né defezioni.
Se non lo fa, l’alternativa diventerà: sopravvivere o morire. Ieri Cesare Prandelli ha puntato a sopravvivere ed è morto, calcisticamente, pugnalandosi nell’intervallo. La scelta esemplare, l’ultima di una serie di autocritiche non richieste, l’ha compiuta tra il primo e il secondo tempo di quella che sarà la sua ultima partita da ct. Toglie giustamente Balotelli, versione Mariotto imbizzarrito, per evitargli l’espulsione, ma anziché mettere una seconda punta che affianchi Immobile, confermando lo schema di partenza, manda dentro Parolo, un centrocampista. La disposizione diventa un 3-6-1, una specie di pappone che non si sposta manco a calci, appunto. È vero che con il pareggio si passa, ma se giochi per lo 0 a 0 finisce che un gol lo prendi. O forse no, se il non gioco, la difesa a oltranza, sono stati il tuo credo, ma Cesare Prandelli era arrivato predicando e realizzando altro. Dandoci, a torto o a ragione, una nazionale diversa: l’Italia che gioca. All’estero ci guardavano stupiti, come se ci fossimo presentati con i bilanci non truccati e un leader che sa le lingue.
Era, sembrava, troppo poco italiano per essere vero. E funzionava perfino: agli Europei ci condusse oltre le aspettative, fino alla finale con la Spagna. Nessuno gli ha rimproverato di averla persa 4 a 0, perché fu se stesso fino all’ultimo, con uomini stanchi ma comprensibilmente, con un tentativo di gioco che aveva identità e futuro. Si è qualificato senza problemi per i mondiali, poi, sulla strada per il Brasile, ha perduto la rotta, la consapevolezza di sé, il coraggio. Ha provato a essere furbo, ma non è nella sua natura. Prudente, ma non era opportuno. Forse mal consigliato, ma accettare i consigli è un altro imperdonabile errore: un ct è un sovrano assoluto, regna, combatte, trionfa o decade senza ombre accanto al trono. Per questo deve essere fedele solo a se stesso. Invece, prima che l’arbitro Moreno 2 fischiasse la fine, Cesare Prandelli si è rinnegato non tre ma troppe volte. La prima inversione l’ha avuta con il codice etico. La sua emanazione è discutibile, ma il punto è un altro: senza certezza del diritto ogni legge è, più che inutile, dannosa. Se la trasgressione viene punita a singhiozzo non c’è potere deterrente. Valga l’ultimo esempio: Chiellini. Se fai eccezione alle tue regole per lui, la dea della giustizia ti punisce, consegnandoti per tre partite uno dei difensori più fallosi, rischiosi e fuori forma visti in Brasile.
Tutta l’ultima parte della gestione Prandelli è stata così: una contraddizione dei suoi stessi principi. Nebbia sulla trasparenza. Avevi già deciso di non portare Giuseppe Rossi? Lascialo fuori anche dai 30 preconvocati. Perché alimentare illusioni ed esporsi a polemiche? Hai giocato per quattro anni con il rombo e le due punte, ma davvero l’assenza di Montolivo è un tale ostacolo da farti concepire un cervellotico 4-1-4-1? E pazienza con l’Inghilterra, era andata pure bene. Ma replicare con il Costarica che ha un solo attaccante? E se manca De Rossi, rivoluzionare tutto, un’altra volta? Quale altra squadra cambia così tanti schemi in tre partite a un Mondiale, dove non c’è tempo per recuperare e bisogna giocare a memoria? Non avevi sempre detto che guardavi ma non copiavi il campionato? Giusto, ma allora che cos’era quell’Ital-Juve, o meglio Juve-Guay dell’ultima partita? E allora mettici anche il Toro, metti, oltre a Darmian e Immobile, Cerci che li conosce.
No, doveva giocare Balotelli. Ecco, con tutte le cose che ha tradito, Prandelli è rimasto fedele proprio a questa: Mariotto. Disse Billy Bob Thornton: “Se vuoi dormire la notte, non sposi una donna come Angelina Jolie”. Se vuoi stare tranquillo in panchina, non schieri Balotelli. Non quando il suo barometro personale segna tempesta. Accade spesso e lo vedi subito: fa proclami, scrive a regine e papi, invece di calciare scalcia. A lui, che non è fedele a nessuno, Prandelli è stato fedele. Cassano invece l’ha accantonato e poi, con un’altra inspiegabile inversione a U, è tornato indietro a caricarlo, rabbuiando l’ambiente. Tutto questo senza pressioni, senza critiche feroci. Tutti erano consapevoli, come lui stesso ha detto, che non stesse “lasciando a casa Cabrini”. Su di lui, solo qualche pettegolezzo sciocco per foto e interviste familiari sopra le righe, battutine sui rapporti con Renzi, ma anche fiducia. Troppa, volendo. Il contratto rinnovato prima dei mondiali è stato la sua trappola. Gli ha dato certezze e gliele ha tolte. Solo quando non ha il domani garantito un uomo gioca come gli dicono il cuore e la testa. Cesare Prandelli non giocava per la patria, ma per se stesso. Purtroppo, in Brasile, contro se stesso. Averlo ammesso e averne tratto le conclusioni è il suo gol della bandiera.