(E. Currò) «Siamo preparati all’imprevedibile ». Lo slogan coniato da Albertini, capo spedizione Mondiale, non era un’iperbole: l’esordio di Manaus lo ha dimostrato. La Nazionale di Prandelli, che ha battuto l’Inghilterra superando una catena di disavventure e dribblando assai meglio degli inglesi l’incognita climatica, non è certo frutto dell’estemporaneità. Si è meritata sul campo l’affetto dei brasiliani e il rispetto di tutti gli avversari. Ma il risultato più importante è che l’Italia vista in Amazzonia ha, per unanime riconoscimento della critica internazionale, una chiara identità tattica: uno stile di gioco preciso e unico, che prescinde dagli interpreti e che, soprattutto, è div e r s o d a quello dei club, nonché dalla storia calcistica patria, fondata sul primato della difesa. Una Nazionale che in un Mondiale sa vincere monopolizzando la gestione della palla – e togliendo ogni motivo di recriminare agli sconfitti – è una novità.
Se per l’estetica del contropiede quelle di Bearzot e di Lippi rappresentano un modello impareggiabile e per la perfezione dei meccanismi tattici quella di Sacchi resta l’archetipo, questa persegue l’ambizioso obiettivo della sintesi: si adatta alle varie fasi della partita, secondo dichiarato camaleontismo. Ma al di là del contropiedismo obbligato nel finale, con le galoppate di Immobile e con gli strappi di Parolo, il primo tempo di Manaus ha inorgoglito il demiurgo, che ha visto realizzarsi il progetto del dominio a centrocampo. «Era tutto pensato e voluto. Non abbiamo giocatori potenti, né forti nell’uno contro uno, ma centrocampisti molto tecnici. Li dovevamo valorizzare. In questo Mondiale si fa molta fatica a recuperare dallo sforzo. E farlo col pallone tra i piedi è meno dispendioso che dovendo inseguire l’avversario».
Che la teoria si sia tradotta in pratica lo confermano i dati dell’Arena da Amazonia. Per possesso palla (56%) e successo dei passaggi (93%) gli azzurri hanno dominato. Le statistiche di Pirlo (108 passaggi, di cui il 95,4% riusciti), De Rossi (105 palloni toccati) e Verratti (96,7% di tocchi senza errore) attestano come il triplo regista diventi potenzialmente devastante, quando riesce a innescare Candreva e Marchisio, primi per numero di sprint efficaci, e Balotelli, il più abile nelle sponde. Non c’è stata nemmeno un’ammonizione: nei debutti al mondiale è solo la quinta volta che accade. Prandelli, però, non si accontenta. Sa che si è aperto un corridoio verso gli ottavi, a patto che venerdì a Recife gli azzurri non inciampino nel Costarica. Ieri, al rientro dalla lunga trasferta, ha dunque imposto un allenamento in palestra, riducendo le ore libere. Giudica opportuno sacrificarsi e valuta eventuali modifiche, forse limitate a una o due: Bonucci per l’opaco Paletta e l’inserimento di Motta, prezioso per l’esperienza internazionale.
La speranza è di potere affrontare con tranquillità l’Uruguay, magari con un turnover massiccio. Gli infortunati Buffon e De Sciglio potrebbero anche recuperare per Recife, ma la situazione permette di aspettarli con calma. Le preoccupazioni, semmai, sono per qualche errore da correggere in fase difensiva e per il clima del Nordeste. A Manaus si è visto come la preparazione specifica nella palestra-sauna di Coverciano sia stata utile: gli inglesi avevano i crampi, gli azzurri no. Tuttavia la mancata concessione dei time-out («avevo le allucinazioni per il caldo», ha raccontato Marchisio) ha contrariato Prandelli e stupito il professor Castellacci. «L’unico criterio è la temperatura: deve essere superiore ai 32°». Peccato che l’umidità (78% in Amazzonia) aumenti la percezione dell’afa e complichi la respirazione. A Recife si giocherà alle 13 e i costaricensi sono più abituati al caldo: la Nazionale chiede fin da ora il time- out. Invece il 24 a Natal con l’Uruguay sono previsti nubifragi, con a rischio la partita stessa. Ma gli azzurri hanno assorbito senza battere ciglio i guai di Montolivo, De Sciglio e Buffon: sono preparati all’imprevedibile.