A che punto siamo con l’Italia? No, qui non si parla del girone e neppure della gara di venerdí prossimo contro la Costarica; si vuole alludere al grado di empatia (termine forse eccessivo?) raggiunto dalla maggior parte dei tifosi italiani nei confronti della Nazionale, dopo la vittoria contro l’Inghilterra.
Qualche animo s’è scaldato, più di un malumore è stato riposto nel cassetto, pronto comunque da tirar fuori all’occorrenza; Prandelli e Chiellini sono un poco più sopportabili, visto che di simpatia – ragionando da romanisti – non si può proprio parlare.
Perché noi siamo così, lo siamo sempre stati e non soltanto nei confronti della nazionale di calcio: della nazione in generale. Si parte con diffidenza, poi si comincia a simpatizzare con cautela, senza troppo sentirsi parte in causa; infine si sale sul cavallo alato dell’entusiasmo. Se poi, eventualmente, arriva la vittoria, di chiunque sia figlia, sul carro non ci si sale semplicemente: lo si assalta proprio, scordandosi ciò che si era detto prima, di Garibaldi, degli americani prima dell’otto settembre e di Marcello Lippi.
Nello specifico di questi mondiali brasiliani, bisogna aggiungere che vedere gli altri ci sta riconsolando nei confronti dei nostri: Messi non saluta il ragazzino, i brasiliani non disdegnano aiutini (ini?) poi fanno i vaghi in conferenza; i tedeschi invadono il Portogallo accusando gomitate al Pepe e via dicendo, fino alle delusioni belga – nonostante la vittoria – e russa che non fanno seguito a pronostici e proclami.
Anche in questo caso possiamo diventare entusiasti, se una serie di cose gira come deve; senza per questo diventare uniti, questo proprio no: gli italiani bisogna ancora farli, lo disse Massimo D’Azeglio, lo conferma Balotelli.