Gli occhi da cerbiatto mogio, quasi lustri di lacrime; lo sguardo che fissa un punto nel vuoto, invece di seguire le fatiche dei compagni contro gli uruguaiani; il capo leggermente chino in avanti, come in segno di resa. L’ultima istantanea di Mario Balotelli – quando gli azzurri avevano ancora un piede nel mondiale – durante la rassegna brasiliana dice, col linguaggio del corpo, molto di più dei suoi tweet risentiti, populisti, strumentalizzabili.
Dietro questa disfatta (anche) perso nale c’è un insegnamento, un messaggio involontario a chi ha ancora molto da imparare dalla vita e che, almeno a giudizio di chi scrive, va messo al sicuro dalla marea delle critiche e delle stroncature. Il messaggio è che qualsiasi realtà prima o poi ti presenta il conto, al di là del velo delle apparenze, del potentissimo anestetico dei soldi, dei look studiati ad arte – anche per imbarcarsi dopo essere stati eliminati – e dei super-soprannomi che creano confusione tra i risultati del campo e quello che semplicemente potrebbe essere.
A un ragazzino di dodici anni, frastornato da un bombardamento di immagini, slogan, marchi e atteggiamenti da divi spesso maleducati, andrebbe illustrata la parabola discendente di Balotelli, collocato all’apice di un successo virtuale senza aver mai del tutto colto, da quel protagonista assoluto che pretende di essere, un successo reale, autentico da protagonista assoluto. A fatto parte – spesso mal sopportato – di gruppi vincenti, in Italia e all’estero, ma non è la stessa cosa.
Alla fine del supermarket, dopo una passeggiata obbligata tra scaffali che spacciano slogan e colori, c’è sempre la cassa: qualcosa bisognerà pagare, a seconda delle scelte fatte durante il percorso. Le apparenze, per quanto possano stordirci, spacciarsi per aspetti essenziali della vita, restano apparenze e non bastano a guadagnare quei risultati dei quali si pensa di essere all’altezza. La realtà è più probabile che abbia i capelli radi e il muso lungo del capitano dell’Uruguay, Godìn, il cui colpo di testa spedisce l’Italia griffata e dal look accattivante a casa anzitempo, tra silenzi imbarazzati e lacrime di frustrazione sul volo di ritorno.
Come ogni ragazzino che punta tutto sull’essere “fico” e che si convince che quello sia un traguardo reale, che il successo da cogliere ad ogni costo sia quello, Balotelli si è ritrovato solo – sulle modalità si può anche discutere -, sconfitto e finalmente identificato come capro espiatorio, cioè eletto a responsabile di colpe che certamente non possono essere tutte sue. Una lezione di umiltà per tutti gli italiani frastornati da una serie infinita di cazzate, virtuali e non; quindi particolarmente efficace verso chi può fare ancora in tempo a non cadere nel tranello.
Paolo Marcacci