(M. Iaria) – L’11 agosto non si voterà un candidato unico. Carlo Tavecchio vincerà con un ampio margine, potendo contare sull’appoggio delle quattro leghe, ma lo sfidante Demetrio Albertini rimane in partita. E lo chiarisce alla Gazzetta: «Io non mollo perché non posso deludere la gente che mi ha sostenuto in questi giorni e perché, dopo 7 anni di servizio in Federazione, mi sembra giusto poter dare il mio contributo nelle dovute sedi, essere da stimolo in una fase in cui il calcio ha bisogno di profondi cambiamenti». E su Twitter ha aggiunto:«Non è mai stata una corsa su numeri ed età, ma su progetti e voglia di cambiare ».
Dietrofront All’ex campione del Milan e vicepresidente federale dimissionario è rimasto l’appoggio delle componenti tecniche, allenatori e calciatori. Quell’etichetta – essere un ex giocatore, per i critici un “sindacalista” – che ha cercato sin da subito di togliersi di dosso mettendo sul tavolo l’esperienza maturata in Figc e le idee di un calcio diverso. Non gli è bastato per squarciare la diffidenza dentro il palazzo. In Serie A sono rimaste al suo fianco solo la Juventus e Roma: l’altro ieri all’assemblea di Lega un cappotto inaspettato nelle proporzioni, 18-2 a favore di Tavecchio. Albertini, per ora, sta zitto ma si sente tradito. Di fatto la sua discesa in campo è evaporata nel giro di pochi giorni, se si pensa che solo lunedì aveva sciolto le riserve annunciando la disponibilità a candidarsi. Albertini sperava di pescare voti in Lega Pro, contando sulle divergenze interne a quella categoria, e in serie B, il cui presidente Abodi era stato il candidato della discontinuità per la Lega di A proposto da Agnelli e soci nel gennaio 2013. Aspettative che si sono sgretolate rapidamente, fino al voltafaccia di non poche società del massimo campionato. Inizialmente, al fianco di Juve e Roma, c’erano Fiorentina e Sampdoria, ma anche Verona, Sassuolo, Empoli, Cesena, forse Cagliari, forse Torino. Quei voti promessi e non mantenuti sono duri da digerire per Albertini che domani, ultimo giorno utile, presenterà la sua candidatura con il programma e le firme di sostegno che l’Aic e l’Aiac stanno finendo di raccogliere.
Scenario È chiaro che l’11 agosto l’esito è scontato, ma quale può essere il senso politico della «resistenza» di Albertini? Dal punto di vista personale, è un modo per continuare a esercitare un ruolo all’interno delle istituzioni nei due anni che restano alla fine del quadriennio olimpico. Poi si vedrà. Di certo, se fosse uscito di scena ora sarebbe stato praticamente impossibile rientrare più avanti nei giochi federali. Aspettiamoci un’opposizione dura e rigorosa da parte sua. Ma anche da parte di calciatori e allenatori che respingono al mittente la proposta di Tavecchio di portare dal 75% al 65% il quorum per le modifiche dello Statuto. Accettandola non potrebbero esercitare il diritto di veto. E invece il loro 30% (20% atleti e 10% tecnici) è l’unico mezzo che rimane, nella nuova Federazione fortemente orientata sulle leghe (che pesano per il 69%), per far sentire la voce delle componenti tecniche. «Cosa andiamo a fare in consiglio federale? Vogliono lasciare fuori dal processo decisionale i calciatori e gli allenatori proprio nel pieno della crisi tecnica del calcio italiano? E allora che scendano in campo i dirigenti, vedremo se riusciranno a riempire gli stadi», è il ragionamento dei sindacati.
Fonte: Gazzetta dello Sport