(A. Catapano) – C’è una nuova, preziosa testimonianza che potrebbe inchiodare Daniele De Santis, indagato per l’omicidio volontario di Ciro Esposito, e, a quasi un mese dalla sua morte, sgretola il muro di omertà innalzato sulla sparatoria del 3 maggio. Il testimone è un giovane napoletano, molto legato a Ciro, che ha condiviso con lui ogni istante della trasferta per la finale di Coppa Italia, dalla partenza da Scampia fino ai tragici spari di Tor di Quinto. È un ultrà del Napoli e ha precedenti penali. La morte di quel ragazzo, con cui è cresciuto, deve averlo convinto a parlare. E così il 4 luglio, sette giorni dopo i funerali, è tornato a Roma, si è presentato in Procura e ha raccontato la sua verità ai pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio. Una ricostruzione completa, senza alcuna omissione, che i pubblici ministeri ritengono fondamentale, più della testimonianza di Puzone o della registrazione con le frasi di Ciro raccolta dalla criminologa Angela Tibullo mentre era ricoverato al Gemelli.
GASTONE E LA BAGLIVO Nella nuova testimonianza la Procura ha riscontrato alcune decisive conferme e un paio di importanti novità. Il ragazzo ricostruisce come i testimoni precedenti l’arrivo del gruppo in viale Tor di Quinto e la risposta alla richiesta d’aiuto lanciata dal pullman colpito dalle bombe carta di De Santis. Conferma pure che il gruppo ha attraversato la carreggiata per tentare di fermarlo e che «Ciro, di corsa, è stato il primo a raggiungerlo, ma noi, sicuramente il sottoscritto, Alfonso Esposito e Gennaro Fioretti (gli altri due feriti dagli spari, ndr ), eravamo subito dietro. A quel punto De Santis — prosegue il racconto — ha cominciato a indietreggiare, dopo qualche passo è caduto, si è rialzato, ha tirato fuori la pistola e ha sparato ad altezza uomo. Quattro colpi, poi ha puntato l’arma anche contro di me, ma non è riuscito a sparare, non so se ha finito i colpi o se la pistola si è inceppata. Così uno dei nostri con un calcio l’ha fatta volare lontano». Quest’ultimo particolare, qualora fosse confermato, smentirebbe la ricostruzione fornita agli inquirenti da Ivan La Rosa e Donatella Baglivo, la coppia del Ciak Village che racconta di aver spostato e nascosto la Benelli «per evitare altri guai». E oltretutto, tra le ricostruzioni al vaglio dei pm Albamonte e Di Maio, ce n’è un’altra secondo cui la Baglivo avrebbe volutamente inquinato la scena del crimine, sfilando i guanti neri a De Santis e bagnandolo con acqua e alcool.
GLI ALTRI Con Gastone, fa infine mettere a verbale il testimone, «c’erano quattro incappucciati (gli ultrà romanisti identificati qualche giorno fa dalla Digos, ndr ) che gli gridavano “daje, spara!”. Ma più indietro, all’interno del villaggio, ce n’erano tanti altri, almeno venti o trenta». Il che confermerebbe, ancora una volta, la tesi dell’agguato premeditato, seppure maldestramente, e spiegherebbe anche il perché del comunicato di «fratellanza» della curva Sud. Troppi i romanisti coinvolti nella vicenda per potersene dissociare.