(A. Catapano/M. Galdi) Dagli orrori comunisti alle tessere democristiane. I tempi cambiano, i simboli del (cattivo) potere pure. Ma c’è sempre un/una Berlusconi a vocazione populista pronto/a a liberare il popolo (calcistico) dai fantasmi del passato. Di padre in figlia, è l’evoluzione della specie. Fa una certa impressione, ma tant’è. «Dal dibattito per la presidenza della Figc — dice Barbara — emergono da parte di alcuni protagonisti dichiarazioni e prese di posizione che ricordano i congressi della Dc della Prima repubblica». Dove, effettivamente, le tessere viaggiavano col vento delle correnti in poppa (e Carlo Tavecchio, per anni sindaco Dc, ne sa qualcosa), ma tra una spartizione e l’altra circolava pure qualche buona idea per governare il Paese. E anche il calcio, in fondo, non se la passava tanto male. Oggi, invece… «servono persone con idee nuove e coraggiose — suggerisce la vicepresidente e a.d. del Milan —. Non si può ridurre tutto, come vorrebbe qualcuno, alle tessere e ai voti di cui si disporrebbe. Molto più importante è discutere su programmi e idee per rilanciare il nostro calcio che è in grave crisi di credibilità e di risultati. Mi auguro — conclude Barbara Berlusconi — che la Lega di Serie A proponga, in maniera unitaria, una candidatura credibile che vada convinta nel senso del rinnovamento e del cambiamento. Ma io — precisa con candore — parlo a titolo personale, l’argomento non è tra le mie deleghe».
Alla faccia di… Particolare che piccolo non è. Come il possessore di quelle deleghe che Barbara non ha. Le vorrebbe, ma le ha in mano Adriano Galliani, sempre lui, l’altra metà del cielo rossonero, il «vecchio» servitore di papà che la giovane Berlusconi avrebbe voluto rottamare, operazione che non le è riuscita. Galliani ha conservato intatto il suo potere (almeno quello che gli interessa) e ora lo esercita da grande elettore di Tavecchio, per il quale ha già organizzato cene di pesce col sodale Lotito. Alla faccia del rinnovamento. E pure, un pochino, di Barbara.