(L. Bianchini/G. Di Feo) Andrea Stramaccioni, lei allenava l’Inter che ha vinto la NextGen nel 2012 battendo in finale l’Ajax. Dopo due anni loro ne hanno 7 in prima squadra e l’Inter nessuno… «Innegabile. Ed essendo diventato allenatore in A provenendo dalla Primavera, ho ancora di più la riprova del problema: il divario tra quello che esprimono i campionati giovanili e la massima serie è ampio, troppo ampio. E paghiamo l’assenza delle seconde squadre, che penalizza l’affermazione dei nostri giovani».
Quindi, se le avessimo, Livaja e Bessa sarebbero al livello di Fischer e Klaassen?
«Quando preparammo quella partita, me lo ricordo bene, quelli che lei cita avevano già giocato e segnato con la prima squadra, tant’è vero che usammo dei filmati di partite dell’Ajax vero. Erano in rampa di lancio, insomma, avevano respirato l’Eredivisie. E non vale solo per loro: in semifinale l’ala sinistra del Liverpool era Sterling, volava. Dei nostri, invece, nessuno si era mai affacciato a quel livello. Il discorso è a monte: se anche i vari Duncan, Livaja e così via nella stessa stagione avessero fatto 15-20 presenze in un’Inter B, chiamiamola così, l’anno dopo sarebbero stati più pronti a misurarsi con la Serie A. La grande lacuna è quella».
Ancora più a monte. Come li reclutiamo i ragazzi in Italia? È vero che si predilige il fisico rispetto alla tecnica?
«Ho allenato nelle giovanili di Inter e Roma, e in entrambe il primo, assoluto parametro è la qualità. E non è un caso che entrambe siano accomunate da gran continuità e programmazione. Lavorano da 15 anni allo stesso modo e sono tra le prime per talenti sfornati. Ma le faccio un esempio: la Roma per far giocare Florenzi ha dovuto mandarlo a Crotone, Alessandro ha mangiato la polvere, è diventato un prospetto quasi da Nazionale. E, nonostante il gran lavoro del Crotone e la gran stagione del ragazzo, si tratta comunque di un bivio che Florenzi ha vinto. Ma se fosse andato così così? Leggo dai giornali che Da Silva, il migliore del Chievo che ha vinto il campionato Primavera, cerca squadra in B. In Olanda il migliore dell’Under 19 è da subito protagonista in Eredivisie».
Altri appunti mossi alle nostre giovanili: troppa tattica e poca tecnica, il risultato privilegiato rispetto allo sviluppo, poco coraggio…
«I nostri grandi club lavorano bene, ma hanno lo svantaggio enorme di non avere una seconda squadra dove i ragazzi possano fare in tranquillità 20-25 gare contro gente più grande. Florenzi va a Crotone, fa la differenza e la Roma lo richiama. Ma per un Florenzi che ce la fa, ne perdiamo o ne ritardiamo altri 15. Poi c’è chi a 18 anni sfonda, per carità, ma da noi sono eccezioni ». I club non hanno colpe? «Il parallelo è sempre lo stesso, la mia Inter-Ajax: a parità di buon lavoro dei club, il bagaglio di esperienza dei loro è più grande di quello dei nostri. Ricordo la finale dell’Europeo Under 21 un anno fa: gli spagnoli tutti in Serie A, i nostri invece?».
Altrove, però, si nota anche un certo «marchio di fabbrica» del club che da noi non sempre c’è. Il Barça, per esempio…
«Lì dai bambini all’ultima squadra c’è una filosofia precisa che connota fortemente anche l’impronta tattica. Però magari poi lasci per strada qualche profilo, magari se fai solo 4-3-3 trascuri una grande seconda punta o la spingi a fare l’esterno…».
L’apporto federale allo sviluppo dei giovani è sufficiente?
«Con l’avvento di Sacchi abbiamo aumentato di molto gli stage, sebbene non siamo ancora al livello di altre nazioni. Un progetto per il miglioramento c’è, arriveranno anche i risultati. Ma per Di Biagio al momento il campionato di riferimento per convocare gli Under 21 è la B, i c.t. di Francia, Germania, Olanda guardano invece a Ligue 1, Bundesliga, Eredivisie. È un dato di fatto: siamo competitivi fino all’ultimo gradino, poi i nostri finiscono giù e i loro in A…».
Realisticamente, nel nostro Paese pensa che possa arrivare una svolta veloce?
«Ho fiducia, qualcosa sta migliorando. Abbiamo riformato il campionato Allievi, la Primavera, ma l’importante è che ora le riforme non si fermino. Le squadre B si possono fare, da subito, anche da noi. E sarebbe un vantaggio innegabile».
Non è che poi continueremo a vedere le squadre piene di stranieri scarsi?
«Sono discorsi da non confondere. Coverciano e i club hanno l’obbligo di capitalizzare al meglio il patrimonio dei giovani italiani, e non ci piove. Poi c’è la libertà di un d.s. di prendere chi vuole. Ma la sfida di chi lavora nelle giovanili è proprio quella: mettere in difficoltà il proprio club quando deve fare delle scelte, portare i nostri a essere competitivi a 18 anni come avviene all’estero. Io stesso ho fatto esordire tanti giovani, ma allo stesso tempo li trovavo distanti da un giocatore fatto e finito. E l’inserimento è difficile. Si ricorda di quando Totti stava per andare in prestito alla Samp?».
Cioè?
«Carlos Bianchi, si leggeva, non lo reputava pronto e lo stavano mandando a Genova. Lo salvò un triangolare amichevole all’Olimpico, proprio contro l’Ajax: non contava il risultato, Totti si mise in luce e il presidente disse “Questo qua non parte più”. E parliamo del più grande talento italiano degli ultimi 20 anni».