(S. Cleri) Il sorriso è sempre quello sornione e bef fardo dei giorni migliori. C’è solo qualche ru ga in più a scavare un volto che si illumina quando si parla di calcio vero e s’incupisce quando si fanno i conti con tutto ciò che ruota attorno al gioco più bello del mondo. Ma il ruolo di vecchio saggio no, non fa per lui. «Mi vedo bene e sto bene solo in mezzo al campo, ad allenare. Per questo ho sempre rifiutato di fare il c.t. di una nazionale. Ancor meno mi vedrei dietro una scrivania, con mansioni da supervisore».
Ed allora ben tornato, Zdenek Zeman. Il nostro malandato pallone non può proprio permettersi di rinunciare al suo calcio senza compromessi e alle sue esternazioni mai banali. Cagliari. Perché?
«Perché qui c’è una società nuova, fatta di persone perbene, che ha voluto puntare su di me. Questo basta e avanza per iniziare una nuova avventura».
Il patron Giulini ha scelto lei prima ancora di prendere il Cagliari.
«Ha grande entusiasmo e buone idee.
Spero non glieli facciano passare…».
Già. Ma il calcio italiano è davvero messo così male?
«Questo sport, come tanti altri, è fatto di cicli. Per tanti anni siamo stati ai vertici, ora non lo siamo più».
Da dove si riparte?
«Dai giovani. Bisogna creare delle strutture al cui interno farli crescere. La soluzione migliore sono centri federali su scala regionale. In Francia lo hanno fatto una ventina di anni fa e i risultati si vedono».
E la violenza? Come evitare che questo cancro distrugga il nostro calcio?
«Sento tanti discorsi, ma la soluzione sarebbe semplicissima. In Inghilterra trenta an ni fa la situazione era peggiore di quella italia na. Non vedo perché non si possa fare anche qui quello che loro hanno fatto».
Violenza e spettacolo scadente si combat tono pure con stadi nuovi. È d’accordo?
«Aiuterebbero, ma fino a un certo punto. Quello degli stadi per me è un falso problema. Se ne parla tanto perché ci sono interessi ex tracalcistici a realizzarli. Ma quando lo spettacolo era migliore gli stadi erano pieni anche se vecchi».
Crisi dei club e crisi della Nazionale. Alla fi ne il capro espiatorio del flop ai Mondiali è stato Prandelli. Giusto?
«Il responsabile non è solo lui, ma che lui diventi il bersaglio principale delle critiche fa parte del gioco. E poi per quattro anni Pran delli è stato sempre esaltato, anche per i pa reggi con il Lussemburgo. Troppe critiche? Ma se Sacchi è stato crocifisso dopo aver per so una finale ai rigori…».
Italia a parte, che Mondiale è stato?
«Molto bello. Il migliore delle ultime edizioni. Tante nazionali mediopiccole hanno fatto vedere cose interessanti. Soprattutto quelle latinoamericane. Hanno saputo evol versi a livello di organizzazione tattica. Al contrario delle selezioni africane che proprio per questo non sono esplose come si pensava venti anni fa».
Chi vedrebbe bene ora sulla panchina azzurra?
«Mancini. È stato un giocatore di alto livello, da tecnico ha vinto sia in Italia sia all’estero, conosce le lingue. Sarebbe la persona giusta al posto giusto».
Con Balotelli di nuovo al centro del progetto?
«È un grande talento, è ancora in tempo ad esprimere tutto il suo potenzia le. Ma deve fare in fretta. La storia del calcio è piena di fuo riclasse inespressi. Penso a Cassano. Avrebbe potuto fare molto di più»
C’è chi in campo rende meno di quanto potrebbe e chi fuori parla più di quanto dovrebbe. Cosa pensa dell’esternazione sugli extracomunitari del candidato presidente federale Tavecchio?
«Un’uscita inopportuna e che non può non essere censurata. Però, tolta la forma, nella sostanza ha ragione. Uno dei grandi mali del calcio italiano è la presenza di troppi stranie ri. Bisogna tornare a puntare sui nostri ragaz zi».
Quindi, al netto della gaffe, Tavecchio può essere l’uomo giusto per rilanciare il calcio italiano?
«Il problema non sono gli uomini, sono i programmi. Serve un cambiamento profon do. Ma con un mandato di appena due anni, Tavecchio o un altro, cosa può fare?».
Quella stessa mancanza di programmazione che spesso voi tecnici imputate ai dirigenti.
«Oggi, soprattutto in Italia, gli allenatori contano poco. E questa è una delle cause del l’impoverimento dello spettacolo. A tecnici senza esperienza vengono affidate squadre di alto livello. È sbagliato. Serve fare la gavetta prima di arrivare su certe panchine. Come hanno fatto quelli della mia generazione».
Il progetto Cagliari a che punto è?
«Stiamo lavorando bene. L’obiettivo è esse re pronti per la prima giornata. Purtroppo il mercato aperto condiziona il nostro lavoro».
C’è chi, De Laurentiis, propone di tenerlo aperto tutto l’anno.
«Chi dice una cosa del genere non capisce nulla di calcio. Per me il mercato dovrebbe chiudersi prima che le squadre partano per i ritiri».
La cessione di Astori le scombussola i programmi? Ha provato a trattenerlo?
«No. Era giusto che cercasse altrove le motivazioni che al Cagliari non aveva più. Tratte nere un giocatore contro la sua volontà è sem pre controproducente».
Ne arriveranno di nuovi?
«Sì, ma non mi piace fare questi ragionamenti. Per questo dico che sarebbe meglio cominciare la stagione quando il mercato è già chiuso».
A proposito di Astori. Griglia scudetto. La Roma ha scavalcato la Juve?
«Ha comprato giocatori che sulla carta la rinforzano notevolmente, però poi bisogna vedere se sul campo il rendimento sarà all’altezza delle attese».
La Roma di Garcia la sente anche un po’ sua?
«Io ho iniziato un certo tipo di lavoro che lui è stato molto bravo a portare avanti».
Si aspettava le dimissioni di Conte? La Juve quanto perde senza di lui?
«Non perde nulla perché ha una storia e un organico che prescindono dall’allenatore. In quanto alle dimis sioni il rapporto si era logorato, la decisione andava presa prima».
Il Napoli e le milanesi?
«Il Napoli deve trovare la continuità che non ha mai avuto nelle ultime stagioni. Le milanesi devo no voltare pagina. Non sarà facile, ma peggio dell’ultima annata è difficile che facciano…».
E la sorpresa?
«Se la dico non sarà più una sorpresa…».
Già. Bentornato, Zeman.