(A. Pierucci) «M’hanno detto: “Romani di merda”. E allora non c’ho visto più e so partito de testa, pure se erano in tanti. Uno ha tirato fuori il coltello e m’ha dato una bella puncicata». Rodolfo Pianigiani, il romano di Casalotti, accoltellato l’altro pomeriggio a Napoli, non lontano dalla stazione, dice che dopo quella coltellata al fianco «per fortuna abbastanza superficiale» si è ritrovato la vita in un frullatore. «Eppure ero arrivato a Napoli armato di buoni propositi: garbo e dizione perfetta. “Buongiorno, scusi, vorrei ordinare una birra”. Non volevo tradirmi col romanesco. E poi a un certo punto, una birra tira l’altra, mentre aspettavo il mio amico con cui ero arrivato in città gli ho sbroccato scherzando: “Te voi move o te do ‘na capocciata”. È allora che mi sono sentito dire, alle mie spalle, da un napoletano con la sua cricca come me fuori da un bar: “Allora sei romano?”. “Sì, mbè?”. “Romano di merda”, rincara a bruciapelo. Gli sono partito subito di testa e lui ha preso il coltelli. Ora mi cercano i giornalisti, la Digos, i magistrati. Che dovevo fare? Quando m’hanno toccato Roma non c’ho visto più, per me è come una madre. Io ero a mani nude quello col coltello e con tre amici. Un casotto. Vede? Sono a torso nudo, ho preso tre autobus per andare in Questura. Me la sono tolta sceso dall’ultimo bus. Convocazione d’urgenza».
Ma ti sei sentito offeso per Roma o per la Roma?
«In quel momento ho pensato alla città, ai romani».
E non pure a una vendetta per l’omicidio di Ciro Esposito il tifoso napoletano rimasto coinvolto negli scontri di Coppa Italia?
«Io la parola Ciro non l’ho sentita. Anzi sono sicuro, nessuno l’ha detta. Mi sono sentito dire quel “romani di merda” e da lì a poco è stato tirato fuori quel coltello. Non ce l’ho fatta ad abbozzare, neanche per un secondo. Certo, visto che per me era la prima volta che mettevo piede a Napoli, volevo stare attento a non farmi sgamare che ero romano proprio per i fatti che si sentono, comprese le tensioni per Ciro. Non si sa mai, mi sono detto. E poi invece mi sono tradito da solo con quella battuta in romanesco al mio amico».
Il tifo quindi un po’ c’entra?
«Mica sto nella loro mente. Non so neanche se quel «romani di merda» ricomprendesse pure i romanisti. Comunque io non avevo nulla da tifoso. Sono un simpatizzante giallorosso, ma sono anni che non vado allo stadio. E se la devo dire proprio tutta, ormai sono talmente lontano dal calcio, che alla finale della coppa del mondo mi sono addormentato. Io la metterei così: è stata una lite tra due uomini e basta».
Troppa birra?
«Cinque birre. E credo che l’altro pure fosse mezzo brillo».
E i soccorsi?
«Dopo la ‘puncicata’ al fianco mi sono allontanato. Non mi ero accorto neanche della ferita. Poi ho visto il sangue colare, tra il fianco e il gluteo. Allora ho incrociato un’ambulanza ferma in una piazza, penso Piazza Garibaldi. “Guardate qua, m’hanno detto romani de merda…“. E da quel momento mi sono trovato nel frullatore».
E il tuo amico?
«Lasciamo perdere… Deve aver intuito il casotto che si sarebbe scatenato visti i recenti fatti tra Napoli e Roma, allora, ha raccontato alla polizia che il coltello lo avevo portato io da Roma e mi ero fatto del male da solo. E che per tentare di ammazzarmi dovevo andare a Napoli? Accoltellato sì, ma fesso no.»
Con la Digos come è andata?
«Diecimila domande. M’hanno chiesto persino il peso del tipo col coltello. Ma che ne so io quanto avrà pesato? Non so il nome, non so niente. So solo che io ero alticcio e credo pure lui. E alticcio o no: romani di merda non si dice»
Finisce tutto qua?
«Speriamo. Io non ho un profilo Facebook, ma mi dicono che ci sono delle reazioni contro di me sul web, minacce pesanti. Boh. Io ho solo reagito a un’offesa. Quante chiacchiere per una scazzottata. Gli investigatori hanno provato a dire che mi sono contraddetto. Macché la verità è questa».