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IL ROMANISTA Cassetti: “La gioventù al potere”

Cassetti
Cassetti

(M. Macedonio) – «Sono d’accordo con il presidente Pallotta, quando sostiene che serve un rinnovamento, ma parlerei pure di ringiovanimento, nella gestione del calcio italiano». A dirlo è Marco Cassetti, l’ex esterno giallorosso che alla Roma ha legato il proprio nome per sei stagioni e che non nasconde, come tutti, la delusione provata per l’eliminazione della nazionale azzurra dal Mondiale al termine della fase a gironi. «Un ricambio, anche generazionale, dei vertici federali non potrà che portare benefici, anche se c’è da mettere in conto che ci sarà tanto da lavorare, perché nessun nuovo presidente potrà disporre di bacchette magiche in grado di trasformare le cose in brevissimo tempo. Penso che l’arrivo di tanti giocatori stranieri, in questi ultimi anni, abbia influito non poco sulle possibilità di venire fuori da parte di molti nostri giovani interessanti. Al punto che più di uno si è trovato a dover scegliere tra andare all’estero o ripiegare su una squadra di serie B o di fascia medio bassa in A. Penso, ad esempio, a Verratti, che proprio in Brasile ha dimostrato quanto valga, ma che da Pescara è andato a Parigi, non avendo trovato nessuno che, qui in Italia, credesse veramente in lui. Detto ciò, non farei del catastrofismo. Anche in nazionale si è pagato il ricambio generazionale. Se penso ai giocatori che componevano la spedizione azzurra nel 2006, da Totti a Perrotta, da Cannavaro a Gattuso, da Zambrotta a Del Piero, non c’è davvero paragone con il gruppo che è andato in Brasile quest’anno. Prandelli e Abete hanno le proprie responsabilità e bene hanno fatto a dimettersi. Il ct, in particolare, è sembrato non avere le idee molto chiare e, a mio parere, è mancato già in fase di scelta dei giocatori, che in alcuni casi non ho condiviso fin dalle convocazioni».

Cosa ti ha colpito di più in queste settimane di Mondiale?
In positivo, il fatto che le squadre storicamente poco considerate, perché in passato non erano quasi mai riuscite a raggiungere traguardi importanti, abbiano fatto un ulteriore passo avanti rispetto alle ultime edizioni. C’è stato un livellamento, soprattutto sul piano tattico, con la crescita di quelle nazionali. Penso ad esempio alla Costa Rica, che è arrivata a giocarsi addirittura i quarti di finale ed è uscita ai rigori, senza aver mai perso una partita. O alla stessa Algeria, battuta negli ottavi, ma dalla Germania e nei tempi supplementari! Supplementari ai quali sono andate tante partite, come non era forse mai accaduto in passato.

Ritieni che le quattro semifinaliste rispecchino quanto si è visto e che la finale sia quella più giusta?
Penso di sì. L’Olanda ha fatto bene, ma contro il Messico, ad esempio, ha rischiato di uscire a pochi minuti dalla fine. Il Brasile non mi ha mai convinto del tutto, perché troppo dipendente dalle giocate individuali di Neymar, Oscar o altri, e senza un vero gioco di squadra, anche se tra le prime quattro ci può stare. Lasciamo stare la semifinale con la Germania, perché sono partite che nascono male e si concludono peggio. Ne so qualcosa io che ero in campo quella sera a Manchester, dove finì con lo stesso risultato. Credo che la Germania sia obiettivamente un gradino sopra tutte le altre, proprio sul piano del gioco, anche se l’Argentina non sarà avversaria facile: per vincere dovrà però avere ilvero Messi, e non quello visto finora solo a sprazzi.

Parliamo della Roma.Che impressione stai ricavando intorno alla squadra alla luce degli acquisti conclusi fin qui?
Cominciamo col dire che l’anno scorso ha fatto una stagione straordinaria, anche se non ha portato nulla in termini di trofei, avendo trovato una Juventus che ha fatto il record dei punti. Ha però posto una base importante con mister Garcia. Oggi, tornata nell’Europa che conta, vedo che sta cambiando – giustamente – le proprie strategie di mercato: se prima ci si affidava a grandi talenti, magari ancora inespressi, adesso si punta di più su giocatori esperti e che hanno giocato, e soprattutto vinto, la Champions. E credo che stia creando un bel mix tra giovani e meno giovani. Sono convinto che proprio i più “anziani”, come è già stato l’anno scorso con Maicon o De Sanctis, sapranno portare un bel contributo in termini di personalità e maturità, in una competizione, quella continentale, che non è certo facile, in modo da far crescere i più giovani, aiutandoli a esprimersi al meglio delle loro possibilità. Che è poi ciò che si augura la società e, con lei, tutti i tifosi romanisti.

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