(F. Bianchi) – Settimana decisiva, la prossima, per la presidenza Figc: l’unico candidato che c’è sinora, Carlo Tavecchio inizia il giro esplorativo, espone il programma e cerca il consenso. Si parte con il sindacato calciatori (che vuole Albertini), poi martedì Lega di B, giovedì assoallenatori e Lega Pro. Nel frattempo il 16 c’è l’assemblea di A (che probabilmente si spaccherà in due e non deciderà niente, come al solito…) e il giorno dopo il consiglio federale.
A Tavecchio, che parte col 34% della sua Lega Dilettanti, per essere eletto basterebbe che giovedì Mario Macalli, contrario ad Albertini, gli garantisse il 17% della sua Lega Pro. Ma avrebbe la minoranza in consiglio federale. Meglio quindi cercare altri consensi: il 5% potrebbe arrivare la Lega B (ricordiamo che Abodi votò Lotito per fedeltà politica), il 2% dagli arbitri (potrebbero mai votare un ex calciatore?) e circa un 4-6% (massimo 8% dalla Lega di serie A).
Tavecchio e Albertini comunque sanno benissimo che non è questione di numeri: ci vorrà, per chiunque vinca, un consiglio federale più forte, più deciso, meno litigioso di quello attuale. Un governo del calcio che abbia voglia di fare le riforme, a cominciare da quella dello statuto. Ora esiste ancora il diritto di veto, per questioni che riguardano, ad esempio, la riforma dei campionati.
Tavecchio, 71 anni domani (auguri), ha le capacità per governare la Figc. E’ un uomo da apparato, conosce i problemi, è abituato a lavorare 10 ore al giorno. Ma c’è un fronte, abbastanza ampio, guidato dal sindacato calciatori, da Ulivieri, Andrea Agnelli, Pallotta e altri presidenti di A che vorrebbero in via Allegri Demetrio Albertini, un ex calciatore giovane. E’ l’unico preparato: altri nomi come Costacurta, Vialli (che guadagna più che bene a Sky) e Cannavaro fanno sorridere. E poi lo stipendio da presidente Figc, 36.000 euro all’anno, non sarebbe certo compatibile con altri eventuali (molto eventuali) candidati.Pierluigi Collina, tirato in ballo da Marcello Nicchi, rinuncerebbe ai soldi che gli dà l’Uefa e la Federazione di Ucraina? E poi lui sa fare bene un altro mestiere, come si è visto.
Alessandro Benetton viene da una famiglia che ha sempre snobbato il calcio. Dino Zoff (a parte che ha un anno in più di Tavecchio) è un allenatore e la sua esperienza come presidente della Lazio (1997) durò poco: è uomo da campo, non da scrivania. Lello Pagnozzi si è tirato subito fuori. La verità è che ci vogliono i voti per essere eletti, e gli unici che potrebbero prenderli sono Tavecchio e Albertini. Più il primo del secondo, visto che forse il calcio italiano non sembra ancora pronto ad avere un ex calciatore al vertice. Proporre certi nomi è offensivo per Giancarlo Abete: lui e il dg Antonello Valentini lasciano una Figc in salute, con un bilancio in attivo. Sì, Abete ha sbagliato: ha sbagliato a non imporsi di più ad un consiglio direttivo dove hanno fatto solo ostruzionismo e ognuno pensava al suo orticello.
La Lega di A per oltre un anno non si è nemmeno presentata in via Allegri: Abete avrebbe dovuto far decadere, da regolamento, i due consiglieri federali (non il presidente). Non l’ha fatto, anche se sollecitato. Un atto di debolezza. Ha affidato due commissioni (riforma statuto e riforma campionati) a Tavecchio e Macalli ma hanno trovato solo resistenze: e i risultati sono stati davvero modesti. Adesso Abete, poco prima di dimettersi, ha nominato un’altra commissione, quella per la riforma dei campionati. Tutto fermo: è vero che la A è pronta a scendere a 18, la B a 20. Ma la A propone una retrocessione diretta e la seconda attraverso uno spareggio. In questo caso la B, con 20 squadre, rischierebbe di avere una sola promozione. Inaccettabile per Abodi.
In passato lo stesso Abete, ancor prima di diventare presidente, aveva proposto una riforma radicale dei campionati (con una B in due gironi). Non se ne fece nulla, erano gli anni delle vacche grasse. Nei giorni scorsi Tavecchio ha spiegato che secondo lui la A dovrebbe essere a 16 (d’accordo De Laurentiis e Lotito, contrarissimi tutti i club medio-piccoli), la B a 18, in più due soli gironi da 18 in Lega Pro. Un taglio drastico, figlio della crisi.
Tavecchio ha ben chiara la situazione: la sua stessa Lega è in difficoltà (il Castel Rigone di Cucinelli che era un esempio di fair play e con uno stadio senza barriere non si è nemmeno iscritto al campionato di D). Siena, Padova, Varese e Reggina sono ancora in ballo. Tavecchio si batte per la fiscalità ai dilettanti e accetta una riduzione graduale del vincolo (per questo va sovente a Palazzo Chigi da Delrio). Ma i guai sono infiniti: da riscrivere lo statuto, mettere un freno agli extracomunitari, rilanciare i vivai (il Barcellona spende 15 milioni all’anno, i nostri club un terzo quando va bene). Bisogna puntare sul Made in Italy e ridare consistenza al Club Italia.
Albertini da anni punta alle Nazionali (ottimo il lavoro con Sacchi soprattutto sul fronte giovanile), alle seconde squadre, ma ha trovato l’ostracismo di Macalli. Demetrio è anche convinto che ci siano troppi stranieri (pippe come dice Macalli) e che la A debba scendere a 18 per essere più competitiva a livllo europeo. Ma non è facile per nessuno fare le riforme. Ci vuole adesso un governo forte che lavori sodo per due anni (nel 2016 si rivota). Intanto il primo atto del nuovo consiglio federale, l’11 agosto, sarà quello di modificare le norme sul razzismo e sulla discriminazione territoriale.
Soprattutto sui cori (odiosissimi) contro Napoli, c’è stato il caos fra curve chiuse e curve riaperte, e questo ha disorientato il giudice sportivo Tosel. Un pasticcio, ricordiamo, creato (due volte) dal consiglio federale lo scorso anno: non è stata quindi solo colpa di Abete. Ma il presidente federale ha sbagliato, per troppa generosità, quando ha confermato per altri due anni il contratto di Prandelli: la verità da noi scritta prima dei Mondiali e del fallimento (vedi Spy Calcio del 9 aprile) era il fatto che Prandelli non aveva trovato un grande club che lo volesse (il suo sogno era la Juve) e così aveva deciso di restare in azzurro. Che abbia una propensione a scappare è indubbio ormai…