Il global Ceo dell’As Roma, Italo Zanzi, ha rilasciato una lunga intervista ad un portale statunitense, tra aneddoti e domande personali, prospettive future ed intenti già fissati.
Come ha fatto un newyorkese a diventare il Ceo di uno dei club più famosi in Italia?
(ride). Beh, si è presentata l’occasione con l’acquisizione del club da parte della proprietà americana. E’ stata una cosa veramente unica e, poco dopo l’acquisto, hanno voluto mettere in piedi un management a capo dell’operazione. La proprietà ha fatto delle ricerche, reclutando candidati esecutivi e sono stato il prescelto. Mi piace pensare che il mio profilo era quello che stavano cercando. Non solo ho un background calcistico, avendo giocato a pallone quando stavo al college, all’Università di Chicago. Fui pure promosso assistente dell’allenatore durante la law&business School ad Atlanta, è lì che ho capito questo sport.
Ironicamente, pensavo che la mia carriera calcistica e sportiva fosse finita, ma poi sono stato reclutato per la squadra nazionale di pallamano degli Stati Uniti. Così ho passato 10 anni studiando e lavorando, mentre rappresentavo il mio paese con la squadra di pallamano, che non è il calcio ma che è comunque uno sport internazionale.
Dopo ho lavorato per molti anni nel mercato sportivo internazionale, prima nella Major League di Baseball e poi nella Concacaf, ma anche molti altri progetti tra cui la Coppa America. Perciò, nonostante non avessi mai lavorato in Italia, le esperienze che stavo maturando erano molto simili a quelle che sarei andato a mettere a disposizione in questo lavoro.
Mi piace anche pensare che ho un sano desiderio nell’accettare nuove sfide. Stiamo costruendo veramente qualcosa di nuovo, che non è mai stato fatto prima e, per questo, è molto eccitante.
La storia dell’acquisto della Roma da parte di James Pallotta è stato raccontato dai media, ce lo racconteresti dal tuo punto di vista?
Pallotta faceva parte di un gruppo che stava cercando di prendere la gestione operativa della Roma, oltre a una posizione azionaria di maggioranza. Dopo essere stato coinvolto in una posizione non di rilievo, ha avuto l’occasione di assumere un ruolo guida.
Molto rapidamente ha deciso di coglierlo e, così facendo, ci ha visto una grande opportunità per prendere un franchise storico in un momento difficile, con molti problemi e sfide, ma con un capitale e il giusto management, avrebbe potuto elevarlo nuovamente al suo livello, se non addirittura a uno più alto.
Così Jim si è impegnato notevolmente di persona, come i suoi partner e si è rapidamente si è applicato per mettere insieme un team per far crescere il club.
Immagino, da quello che so della Serie A – e sospetto che questo vale anche per tutti i fan americani del calcio italiano – che quando guardi da lontano queste grandi squadre, rimani colpito da come le proprietà siano sempre state mantenute da poche persone, per anni e generazioni.
Penso agli Agnelli con la Juventus e a Silvio Berlusconi con il Milan e, in particolare, la Roma con la famiglia Sensi, con Franco e Rosella per 18 anni.
Ora è arrivato James Pallotta, che non è un nuovo ragazzo in una stanza, ma un americano pronto a un nuovo avvio. Allora mi chiedo cosa significhi per voi portare la vostra cultura in un ambiente in cui non ci sono mai state influenze del genere prima.
Molto è legato ai risultati. Quando siamo arrivati qui, la squadra non stava andando bene. La stagione precedente all’ultima non abbiamo giocato bene, ma la parte più difficile è stata la sconfitta nella finale di Coppa Italia contro i rivali cittadini della Lazio. Quello mandò la città in depressione.
Almeno la metà della città, immagino.
“Più della metà. Se prendi le analisi demografiche, la Roma è davvero la squadra della città. È stato un momento difficile per i nostri tifosi. Perdemmo quella sfida il 26 maggio. Quella sera ci mettemmo al lavoro e penso che le persone, seppur lentamente, hanno riconosciuto che stavamo avendo un approccio diverso, non solo in termini di strategia, ma nel lavoro che è associato nel rivoltare un club così rapidamente. Abbiamo preso decisioni molto difficili che non sono risultate inizialmente popolari, abbiamo venduto alcuni giocatori. Lo abbiamo fatto capendo che non sarebbe stato il mercato a renderci più popolari nel giornale del giorno dopo, ma facendo in modo che la squadra avesse più opportunità possibile per vincere. E ci siamo riusciti. Ci siamo concentrati sui fondamentali, vincere dentro e fuori dal campo. Nonostante venisse detto che ci fosse, penso, del sano scetticismo riguardo quel che gli americani possono fare nel calcio italiano, penso che la filosofia del club è emersa. Abbiamo quello che credo sia il direttore sportivo migliore d’Italia, d’Europa e del mondo, Walter Sabatini, che è molto italiano. Il nostro allenatore Rudi Garcia, che penso sia il migliore sulla piazza, è francese. La nostra dirigenza è una combinazione di americani e italiani. Non guardiamolo come un progetto americano. Lo vediamo come un serio progetto di calcio e business con una proprietà americana”.
Hai parlato di come siete stati accolti dai fan. Negli uffici della Federazione com’è stata l’accoglienza?
Non è facile, ma non significa che non sia possibile. Siamo molto aggressivi, ma rispettosi. Pensiamo fortemente che alcune cose debbano cambiare. Sì, ci sono momenti in cui siamo gli unici a proporre soluzioni migliori. E a volte può essere frustrante. Ma vediamo che, poco a poco, ci stiamo muovendo. Ci sono alcuni nuovi proprietari che penso porteranno nuove idee, ci sono alcune squadre che hanno alcune nuove dirigenze e vogliono migliorare. Non è facile, ma continueremo a lottare per migliorare il calcio italiano”.
Hai anche parlato di alcuni trasferimenti controversi, ma avete due titani del club e della nazionale come Totti e De Rossi. Entrambi sono conosciuti in America, ma raccontaci quanto sono importanti per la Roma.
Sono pilastri del club, semplicemente. La permanenza di Totti alla Roma, penso, è una carriera di successo come è stata per un grande atleta. Il modo in cui sta in campo e fuori è fantastico. Per noi è un onore ogni giorno averlo con noi, e rende il club migliore ogni giorno. Siamo stati molto felici di potergli rinnovare il contratto, sia per la carriera da giocatore e anche per prolungare il suo rapporto col club. Daniele è un grande leader dentro e fuori dal campo e un grande giocatore. Continua a eccellere per l’Italia e porta, in una posizione diversa, equilibrio, leadership. Nonostante la realtà è che nel calcio internazionale gli altri giocatori entrino ed escano, il nostro obiettivo è mantenere consistenza e continuità. Avere questi due ragazzi come pilastri, amati dalla gente, ci dà la flessibilità di costruire intorno a loro, come abbiamo fatto. La maggior parte dei giocatori che abbiamo in squadra, penso che rimarranno qui a lungo. Una delle nostre priorità è stata di assicurarci di prolungare il contratto dell’allenatore, Rudi Garcia. Per come cerchiamo il successo nel calcio, una delle cose che crea difficoltà in molte squadre è avere grosso turnover, sia in dirigenza che in campo. Vogliamo dare più continuità possibile e francamente, e da un punto di vista tecnico e tattico, più i giocatori giocano insieme, più miglioreranno.
Uno dei più grandi cambiamenti che state portando avanti è il nuovo stadio. Molte squadre italiane giocano su campi di proprietà del Comune o di qualche altro ente governativo. Quanto è importante avere un proprio stadio?
È immensamente importante per molte ragioni. In realtà lo consideriamo un complesso di intrattenimento legato a uno stadio di calcio. La realtà è che questo progetto sarà più di uno stadio di calcio. Non ci sarà dubbio che aiuterà la nostra squadra da un punto di vista competitivo. Sarà fantastico per i tifosi, che avranno un ambiente fantastico dove supportare il loro team. Come detto, lo Stadio Olimpico è una splendida arena con una grande storia, ma ci sono alcuni suoi elementi che sono problematici per i tifosi, come la pista d’atletica o le tribune. Crediamo che in una nuova arena, i nostri tifosi e chiunque la voglia visitare avranno la migliore esperienza calcistica possibile. Inotre, fornirà una spinta economica, promozionale ed emozionale per la città e il paese, che entrambi meritano.
Vedremo più squadre italiane con stadi di proprietà? Farebbe differenza anche economicamente, non solo per quanto riguarda l’atmosfera.
Prima di tutto, ci piacerebbe molto che accadesse. Per noi sarebbe splendido se tutte le squadre italiane potessero sviluppare il loro stadio. Abbiamo applaudito la Juventus per cosa hanno fatto e supporteremo certamente qualsiasi altra squadra che abbia una visione simile. Penso che sia riconosciuto che gli stadi siano datati per molte squadre. Questo danenggia i tifosi e la sicurezza. Penso che con nuove proprietà e supporto da parte del Governo, che c’è già stato con la legge sugli stadi, questo possa essere realistico.
In America si apprezza molto il ruolo del business nello sport. La Roma ha questa prospettiva, ma in Italia non è molto comune. Cosa vuol dire trattare con queste differenze?
Beh, le cose stanno cambiando. Penso particolarmente al miglioramento delle Leghe di Germania e Inghilterra, dove c’è molta attenzione sui problemi fuori dal campo, siano essi commerciali, finanziari o relativi a trasferimenti. Questo avrà molto peso con l’arrivo del Fair-Play Finanziario. I tifosi vorranno successo sostenibile per le loro squadre, e questo si verifica avendo sicuramente ottime operazioni calcistiche, ma se non hai un’amministrazione ugualmente efficace e un piano commerciale, il lato calcistico non sarà sostenibile e viceversa. La realtà è che i tifosi, giustamente, vogliono vincere, ma per permetterci di avere più possibilità possibile di vincere, dobbiamo essere forti in ogni campo. Penso che poco a poco, i tifosi stanno cominciando a capirlo, in particolar modo quando guardi tante squadre che stanno rischiando di fallire. E la Roma ha avuto quel rischio prima dell’acquisizione da parte degli americani.
Parliamo nel viaggio della Roma negli USA. Cosa pensate di poter ottenere?
E’ un mercato molto importante per noi, a tutti i livelli. Vogliamo ovviamente far crescere la nostra fan base, non solo a breve termine ma anche nel lungo periodo, e quello americano è un mercato chiave. C’è una componente commerciale per farlo, crediamo di poter far crescere sia i ricavi che la nostra fan base. Il miglior modo di farlo è di farci vedere. Siamo venuti tre anni di fila e crediamo di aver lasciato il brand, belle esperienze e, cosa più importante, il desiderio di continuare a seguirci. La differenza tra questo e lo scorso anno è che abbiamo migliorato le infrastrutture da un punto di vista mediatico. Abbiamo investito tempo, sforzi e risorse nel nostro piano media digitali. Abbiamo appena dato il via a un accordo a lungo termine con Nike e stiamo continuando a espandere il nostro accordo con Disney. Queste iniziative così aggressive supportano le partite che abbiamo giocato qui, che diventano elementi positivi per la esperienza-Roma.
Non tutti seguono questa prospettiva. Le squadre inglesi hanno interesse a tenere la MLS in una posizione di secondo piano, mente voi cercate di mantenere le cose in equilibrio.
Vediamo la MLS come un alleato. Abbiamo forti relazioni personali con la loro dirigenza e con molti club. Abbiamo avuto alcune operazioni di mercato e una serie di cose di cui abbiamo parlato. Ci possono aiutare e noi possiamo aiutare loro. È un modo molto amichevole di far crescere il football negli USA e di aiutare a far crescere la presenza della Roma qui.
Aiuterebbe avere un giocatore americano in squadra?
Sicuramente. Valutiamo sempre opzioni e alternative. Abbiamo avuto diverse discussionie continueremo a lavorare con la MLS non solo su giocatori che possano venire in Italia dagli USA, ma anche su giocatori che possano compiere il percorso sopposto. È uno dei benecifi reciproci che possono portare diversi risultati positivi a breve e lungo termine.
C’è la percezione negli Stati Uniti che i giocatori americani siano sottovalutati in quanto americani e non per altre ragioni. Pensi che sia un punto di vista corretto?
Direi che prima di tutto, gli americani hanno un problema pratico a lasciare gli USA, relativo ai permessi di lavoro. Non è così facile giocare in Europa. Queste squadre hanno restrizioni riguardo giocatori extracomunitari. Per quanto riguarda la visibilità, penso che la MLS abbia fatto un ottimo lavoro per rendersi visibile negli USA. Hanno un ottimo accordo televisivo e so che stanno provando a far crescere la propria visibilità fuori dagli Stati Uniti. Tutttavia, la realtà è che è difficile competere contro campionati che si vedono da tanto tempo. Molti giocatori americani non vengono visti dalle squadre straniere come dovrebbero perché la MLS non è così seguita fuori dagli USA. Si è parlato di sottovalutazione, c’è una cattiva e una buona notizia. La cattiva è che forse non attraggono il livello di investimento che qualcuno vorrebbe. La buona notizia è che il loro vero valore è molto più alto. È un processo di crescita, penso, sia per il sistema che per i giocatori. Se a un giocatore che gioca a un certo livello, con un certo allenatore in una certa nazione, viene data opportunità in altre, può fare molto meglio. A volte no. Stiamo provando ad aiutarli. È difficile da una prospettiva pratica, ma è qualcosa per cui stiamo lavorando.
Fonte: Philly.com