(M.Iaria) – Soldi, potere, poltrone, e un calcio a immagine e somiglianza delle società. Se Carlo Tavecchio ha resistito fino a oggi all’indignazione di un intero Paese, all’imbarazzo internazionale per una frase che ne ha azzerato la credibilità prima ancora di essere eletto, un motivo ci sarà. È il patto di sangue stretto dalle leghe, di cui il gran capo dei Dilettanti rappresenta il fedele custode. Ognuno, in questa partita, ha qualcosa da guadagnare ed è per questo che nemmeno la moral suasion del Coni ha fatto desistere i «pattisti» dai loro propositi. Propositi, beninteso, che vanno oltre Tavecchio, ritenuto ingenerosamente un mero esecutore da alcuni dei suoi stessi sponsor, insomma funzionale ai disegni da portare a compimento. Già, ma quali?
Follow the money Cominciamo dai quattrini, che tutto muovono, soprattutto nel miope pallone di casa nostra. La Serie A, lo sappiamo, pende dai diritti televisivi: 1 miliardo all’anno, i due terzi del fatturato. E, per la proprietà transitiva, le categorie inferiori pendono dai proventi tv della Serie A. Si chiama mutualità ed è regolata dalla Legge Melandri, col 6% da distribuire tra B e Lega Pro e il 4% che un’apposita fondazione destina allo sviluppo dei vivai delle società professionistiche, al calcio dilettantistico e a due progetti extracalcio. Si tratta di un centinaio di milioni a stagione, una questione di sopravvivenza per i campionati minori, tanto che le leghe hanno fatto a botte in tribunale, salvo poi trovare un accordo sulla ripartizione. Che è il seguente e vale anche per il 201415: alla B vanno 56 milioni, alla Lega Pro 24 e ai Dilettanti 10. Il patto tavecchiano prevede un aumento di queste erogazioni, attraverso due leve: da un lato il previsto incremento del 20% delle entrate televisive per la Serie A nel triennio 201518 (quindi 20 milioni in più per la mutualità), dall’altro una suddivisione più favorevole alle leghe dei contributi federali. Quest’ultimo punto si traduce così: se lunedì Tavecchio vince, la Federazione diventa a trazione «leghista » e le convenzioni FigcLeghe, appunto, possono essere modificate in senso migliorativo per le società. Esempio: la Lega Pro attualmente percepisce 10 milioni dalla Federcalcio che sommati ai 24 della A fanno 34. L’obiettivo finale è di arrivare a 4045 milioni, almeno uno a società. No, non abbiamo fatto male i calcoli. Nei piani dei «pattisti», infatti, c’è la riduzione a 40 squadre della terza serie, che già è scesa a 60. Insomma, meno club e più soldi per tutti. Non a caso l’onnipresente Claudio Lotito qualche giorno fa a Firenze ha smesso i panni di presidente della Lazio e indossato quelli di patron della Salernitana intervenendo all’assemblea della Lega Pro con un discorso pro Tavecchio, tutto improntato sulla convenienza economica di quel voto. Le stesse promesse le ha ripetute ai dirigenti della serie B, contattati a uno a uno telefonicamente e incontrati poi al varo del calendario, stavolta in rappresentanza di Beretta visto che è consigliere federale in quota Serie A. In particolare, Lotito avrebbe promesso alla B quel 7,5% dei diritti tv della A che faceva parte degli accordi di separazione e non si è mai materializzato: adesso si sfiora il 6%, escludendo i 5 milioni della Coppa Italia e gli 8 dei contributi Figc.
Regole da cambiare E i vantaggi per la Serie A? L’asse GallianiLotito, dopo aver messo le mani su via Rosellini, punta a detenere la golden share politica di via Allegri, tanto più con un presidente federale indebolito dall’offesa razzista. Giustamente la Lega maggiore punta a contare di più del 12%, in ragione del suo peso economico. Attenzione, però, a non passare da un eccesso all’altro. Nei progetti c’è lo sfaldamento dell’istituto della responsabilità oggettiva, che tanti grattacapi reca ai club: largo ad attenuanti ed esimenti per mitigare le pene. Ma si mira più in alto, anche se serve necessariamente la sponda del Governo: cambiare la Legge 91 sul professionismo, vecchia di 33 anni, e togliere lacci e lacciuoli ai rapporti tra società e calciatori (e allenatori). «Siamo stanchi di pagare a vuoto tecnici che si godono l’ozio o di vedere giocatori che rifiutano trasferimenti a parità di condizioni», è lo sfogo di un presidente.
Fattore Lotito Sullo sfondo si staglia la figura da kingmaker di Lotito. Tutto questo sbattersi su e giù per lo Stivale a raccattare voti non sarà certo dipeso dall’antico desiderio di «moralizzare » il calcio. Magari un po’ sì. Ma qui si tratta di dare il giusto peso alle ambizioni del personaggio. Che punta a diventare l’uomo forte del pallone italico, ad accreditarsi con le istituzioni come l’interlocutore privilegiato per le istanze da portare avanti con la politica (dove sogna di sbarcare, per sua stessa ammissione, «per dare un contributo al rinnovamento ») e, magari, anche all’estero. Una voce maliziosa riporta l’ultimo siparietto lotitiano. «Come può Tavecchio presentarsi alle riunioni Fifa e Uefa?». Risposta da battutista: «Mica ce mannamo lui».