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GAZZETTA DELLO SPORT Se anche Totti non si diverte più… attenti a non dissipare i poeti

Totti autografi
Totti autografi

(M. Cecchini) – Dopo ogni rivoluzione, la nuova realtà che ne viene prodotta a volte sfodera artigli affilati in grado di lacerare qualsiasi speranza. Quasi un secolo fa, masticate le proprie delusioni, Vladimir Majakovskij ad esempio verseggiava amaro: «La nostra è una generazione che ha dissipato i suoi poeti». Ecco, tramortita dalla rivoluzione maturata a seguito della sentenza Bosman, l’impressione è che il calcio abbia finito per perdere gli ultimi brandelli della propria anima e così, in fondo, non ci sorprendiamo troppo se una icona internazionale come Francesco Totti affermi malinconico: «Da quando ho cominciato a giocare sono cambiate tantissime cose purtroppo, prima mi divertivo di più».

Avviso ai naviganti più superficiali. Ci sembra troppo facile fare ironia sul fatto che il capitano della Roma abbia 38 anni e ammetta come «il modo di stare in campo adesso è più fisico e meno tecnico». E non ci pare neppure troppo centrato evidenziare la chiara frattura sui comportamenti generazionali che pure non sfuggono al campione giallorosso («I giovani di prima non sono come quelli di adesso, una volta stavi sull’attenti ora prendono un po’ più di spazio »). Totti sa bene come non ci siano le condizioni per cui il Carlo Mazzone dei nostri giorni come successe a lui possa dire al baby talento dei nostri giorni. «Ragazzino, vatti a fare la doccia. Con i giornalisti ci parlo io».

I tempi cambiano e, a dispetto della malinconie, ciascuno di noi è chiamato a fare i conti col presente. Ciò che temiamo in fondo è altro. Che Totti, a suo modo, dia un allarme più generale. C’è ancora spazio nel nostro calcio per la tecnica, per il gioco del pallone in chiave di divertimento puro. E se la risposta fosse dubitativa, non si corre il rischio che gli «artisti» del panorama internazionale abbiano sempre meno voglia di esibirsi in un campionato declinato ormai quasi sempre alla tattica e alla muscolarità? Certo, sappiamo bene che a fare la differenza sono gli stipendi e tutto l’indotto che il movimento riesce a muovere, ma se da questo punto di vista il declino italiano è sotto gli occhi di tutti, non varrebbe la pena almeno di provare a costruire uno spicchio del nostro futuro sul piano del divertimento? Forse varrebbe la pena di ripensare a una nuova estetica del calcio, dentro e fuori dal campo. Un calcio che non faccia sentire Totti a disagio tra pedalatori senza volto o ragazzini perduti tra twitter e instagram.

Forse l’età dell’oro dei Maradona e Van Basten pronti a giocare un Mondiale ogni domenica nella nostra Serie A non tornerà a breve, ma il patrimonio di bellezza che corriamo il rischio di sperperare immalinconendo Totti e i suoi eredi è pur sempre grande. Come il nostro (inconsapevole) bisogno di poeti.

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