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AS ROMA Pjanic: “Roma, ora lo scudetto. Benatia è come me, vuole restare”

Pjanic
Pjanic

Miralem Pjanic ha rilasciato un’intervista esclusiva a Roberto Maida del Corriere dello Sport. Segue uno stralcio.

«Come si dice scudetto in bosniaco? Ciampioni».

«Ai tifosi dico che ce la metteremo tutta. Contro l’Inter abbiamo sofferto ma c’è tempo per aggiustare le cose e raggiungere il cento per cento della condizione. Vogliamo vincerlo, questo scudetto. Sono arrivati giocatori che ci hanno fatto crescere di livello. E alcuni giovani che capiscono il calcio e hanno tanto talento. Ma soprattutto quest’anno il gruppo è cambiato poco rispetto al passato. Non partiamo favoriti, ma siamo lì a giocarcela. Sarà il campo a dare le risposte».

A un certo punto sembrava che Pjanic dovesse andare via. Perché ha deciso di rinnovare il contratto?

«Perché credo nel progetto della Roma, in questa squadra, in questo allenatore. E’ stato facile. Ho ascoltato il cuore ed ho rinnovato. Potevo scegliere di andare a guadagnare più soldi. Ma io voglio giocare dove sono felice».

Il suo amico Benatia vive una situazione simile alla sua, a un anno di distanza. 

«Non so quali problemi ci siano tra lui e la società. Ma so che la sua intenzione è sempre stata uguale alla mia: rimanere. Ha investito molto nella sua carriera alla Roma. E il gruppo lo sa bene: la squadra è con lui. Non c’è ragione per non continuare insieme. Come nasce il nostro rapporto di amicizia? Siamo vicini di casa, parliamo francese, siamo musulmani». ».

Con la Bosnia avete giocato il vostro primo Mondiale, ottenendo un risultato straordinario. Ma in Brasile non è andata bene.

«Sono sincero, ci aspettavamo di più, speravamo di superare almeno il primo turno. Perché noi bosniaci giochiamo per dare gioia al nostro popolo, per trasmettere all’esterno una buona immagine del Paese. Purtroppo abbiamo sbagliato la partita con la Nigeria: anche l’arbitro ha commesso degli errori ma la verità è che abbiamo giocato male». 

Quali sono i suoi idoli umani?

«Mio padre e mia madre. Non avevano niente, hanno costruito tanto».

E l’idolo sportivo?

«Zinedine Zidane. Mi spiace non averlo incontrato a Dallas, perché era impegnato con il Real Madrid B».

Però lei ha imparato a fare i gol alla Maradona, come dimostra il tiro da 65 metri di Denver.

«E’ una giocata che devi immaginare prima. Ho avuto anche la fortuna di ricevere il passaggio velocemente da Nainggolan, gli avversari non hanno avuto il tempo di togliermi spazio. E così ho provato, senza calcoli».

Qualche tempo fa ha detto: devo imparare a essere più incisivo sotto porta. 

«E’ vero, posso crescere, anche se il gol non è mai determinante nella mia visione del calcio. Puoi essere utile in tanti modi. Però nella scorsa stagione, ripensandoci, avrei potuto segnare cinque o sei volte in più».

Legge le pagelle dei giornali dopo le partite?

«Se capita sì. A volte non mi rivedo nei vostri commenti ma non ci sono problemi. So già da solo se ho giocato bene o male».

Zeman, che lei mandò a quel paese in mondovisione proprio dopo quel gol nel derby, sosteneva: Pjanic non è un grande giocatore nella fase difensiva.

«Io non la vedo così. Lui aveva una certa idea di calcio, che non sta a me giudicare. Non so se sia un grande allenatore o meno, lo dicano gli altri: ci sono le classifiche…».

Come mai non è scattato il feeling tra voi?

«Non è scattato con tanti di noi, mi creda. Lavoravamo tanto, lavoravamo duro, ma senza piacere. Con Garcia è tutto diverso: ti parla, ti ascolta, ti domanda. La sua umanità è importante. Con Zeman non esisteva questo rapporto».

A parte Garcia, che è stato decisivo nella sua conferma a Roma, quale allenatore ricorda con più piacere?

«Luis Enrique. Mi ha insegnato a vedere il calcio in un altro modo: movimenti, tattica, mentalità. Tutta la squadra lo seguiva. Purtroppo non ha avuto il tempo e la pazienza per avere successo nella Roma».

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