(P. Lucioni) Kramer contro Kramer. Chi era quel ragazzo tosto, alto sull’1 e 90, un filo di barba e il viso ancora incredulo di trovarsi sul campo del Maracanà a giocarsi una finale mondiale di calcio? «Io? Mah, forse». Christoph Kramer, ventitreenne centrocampista della Germania non potrà raccontare ai nipoti quello che è stato uno dei momenti più belli della sua vita — il plurale è d’obbligo, come augurio di viverne tanti altri — semplicemente perché non se lo ricorderà mai.
Christoph, centrocampista del Bayer Leverkusen prestato al Borussia Mönchengladbach — e già per orientarsi in simile toponomastica bisogna avere carattere e fiducia nella sorte — non avrebbe dovuto scendere in campo contro l’Argentina nella finale mondiale brasiliana dello scorso luglio. Ma il destino lo ha chiamato una prima volta allorché Sami Khedira, il compagno titolare, durante il riscaldamento si ferma e si tocca un polpaccio. E lui, quel Kramer che ha solo cinque presenze in Nazionale e mai è partito dall’inizio in gare ufficiali, si trova a fianco di dieci compagni ad ascoltare l’inno tedesco dalla parte giusta: quella del campo.
Il fischio dell’arbitro Rizzoli e via: 30 minuti da portare per sempre con sé. Ovunque, ma non nella memoria. Al 17’, infatti, in uno scontro involontario l’argentino Garay gli rifila una botta paurosa al collo. La testa incomincia a girare. La volontà di non buttare quell’occasione magica vacilla, e poi incominciano a vacillare anche le gambe. La mente si annebbia. Rizzoli ricorda che, allarmato, è andato a sincerarsi delle condizioni del giocatore. È impallidito alla domanda di Kramer:«Arbitro, è la finale questa?» Pensava scherzasse. «Sì è la finale».«Grazie, era importante saperlo». Si rialza: è maledettamente importante anche questa partita, diamine.
Una decina di minuti ancora, ed è la resa. La testa, la vista, le forze. Tutto sembra mancare. Il destino lo richiama in causa al 32’, quando viene accompagnato, il volto stralunato, fuori dal campo. E al di fuori dal ricordo: Christoph in una intervista a Focus ha rivelato che di quella inimmaginabile mezz’ora non rammenta più nulla. E i medici, continua, sono sicuri che nulla riaffiorerà mai dalla sua mente. Non ci saranno altre conseguenze, assicurano, tanto è vero che Kramer è stato anche un protagonista delle trattative estive con tanto di attacco al sistema: «Il calciomercato è come la tratta degli schiavi». Ma quella benedetta mezz’ora proprio non c’è più. Tutto rimosso: ansie, emozioni, fatica, paura, dolore. I nipoti dovranno fare a meno del racconto. Restano i filmati, le foto, l’immagine di Christoph che solleva, alla fine, la coppa vinta dalla sua Germania. Io, quello? Sì, credo di sì, ma, miseria, come diavolo è fatta la gioia di giocare una finale mondiale?