(E.Minicucci) – Un tackle energico, per chiudere — almeno dal suo punto di vista — il balletto di questi giorni. Perché, in effetti, c’è solo una cosa sulla quale il Comune (o il Pd) non può mettere bocca: a chi appartiene il nuovo stadio. Perché nessuno, legge alla mano, può imporre a Pallotta di costruire un impianto e farlo finire tra gli asset della Roma Calcio. È vero che quello, inizialmente, era lo spirito della legge, cioè patrimonializzare i club. Ma poi, all’atto pratico, nella legge di stabilità del governo Letta, quel vincolo non c’è. Il Comune può fare altro: vigilare sulle opere pubbliche, ottenere che lo stadio non si apra se prima non sono pronte, inserire una «clausola rescissoria» ed esplicitare che il legame tra stadio e squadra deve essere indissolubile. E questi saranno i punti inseriti in delibera. Oltre, però, non si può andare. E Pallotta lo sa benissimo. Tanto che, intervenendo a Roma Radio, l’imprenditore bostoniano fa la voce grossa, bacchettando gli esponenti Democratici: «Il discorso sulla proprietà è ridicolo. Qui c’è una problematica finanziaria: c’è il club e c’è lo stadio, è l’unico modo per realizzare un progetto del genere».
Gli risponde Fabrizio Panecaldo (Pd): «Ridicola sarebbe la superficialità». Ma James insiste: «Nessuna razionalità nei commenti che criticano questa struttura proprietaria, che è necessaria». Senza contare, sottolinea Pallotta, che «non ha alcun senso vendere lo stadio dopo due anni. Questo accordo è la cosa migliore per la Roma, che attualmente paga 8 milioni l’anno per l’Olimpico. Quando sarà costruito lo stadio i costi scenderanno a 2 milioni». Finita la ramanzina al Pd? Non ancora: «Si tratta — dice Pallotta — del maggiore intervento dagli anni ‘20, parliamo di oltre un miliardo di euro, un centinaio per le infrastrutture, l’aeroporto sarà potenziato. Faremo tutto ciò che possiamo per far sì che Roma sia una delle destinazioni maggiori nel mondo. Sapevamo anche che ci sarebbe stato da spendere tanto sulle infrastrutture, svincoli, strade. Sono fondi privati, non c’è altro da aggiungere». Anzi no, una cosa sì: «Negli Usa si inizia il progetto con la costruzione in sé. Noi abbiamo capito i problemi in anticipo: non volevamo arrivare allo stadio senza pensarci bene». Prendere o lasciare, la palla è al Comune. Fare tutto nei tempi previsti (tre anni da oggi), poi, è un’altra storia.