(R.Di Gioacchino) – Ci sono voluti quasi cinque mesi, ma alla fine a Genny ‘a Carogna è stato riconosciuto il merito di essere stato il vero leader di quella giornata di follia e violenza – fra botti, spari, svastiche e spranghe – che ha insanguinato la finale di Coppa Italia il 3 maggio scorso. Ieri gli è stato recapitato l’ordine di arresto nella sua casa di Napoli, a Forcella, dove per un po’ di tempo dovrà restarsene buono, visto che gli hanno concesso i domiciliari. Per altri quattro ultrà, identificati attraverso i dvd e come lui accusati di resistenza a pubblico ufficiale, lancio di materiale esplodente e incitazione alla violenza, sono previste soltanto misure di vigilanza. Non ci sono più dubbi: fu lui, Gennaro De Tommaso, a istigare i tifosi e a capeggiare il corteo che, dopo la sparatoria a Tor di Quinto, si è snodato per le vie di Roma tra scoppi di bengala e bombe carte, slogan e minacce alle forze di polizia. Quel giorno un centinaio di ultrà in assetto da guerra, protetti da spranghe impugnate in orizzontale, stile paramilitare, sono sfilati dall’Olimpico a piazza Mazzini e di qui a Ponte Milvio, dove si è rischiato che le due tifoserie, quelle del Napoli e della Fiorentina, entrassero in contatto. Ah, se non ci fosse stato Genny ‘a Carogna! Eccolo lì, nei filmati che, come un direttore d’orchestra, impartisce ordini con il solo gesto delle mani, indica la strada da seguire, scandisce il ritmo degli slogan, dice quando brandire aste e spranghe contro la polizia e quando accostarle al petto per serrare le fila. Il corpulento tifoso dirige la macabra danza degli ultrà napoletani marciando all’indietro, irriconoscibile fino a quando non si strappa il girocollo e la felpa e mostra la maglietta con la scritta sul retro “Libertà per gli ultras” e davanti “Speziale libero”.
ANCHE LA MAGLIETTA per il gip è un incitamento alla violenza perché inneggia al tifoso catanese in carcere per l’uccisione del maresciallo Raciti. È sempre Genny, quando il gruppo si avvicina pericolosamente allo schieramento avversario, ad alzare le mani per dare il segnale di stop. Scrive il gip Rosaria Monaco: “De Tommaso ha agito da capobranco cui gli altri attribuiscono, per istinto primitivo, carisma e superiorità di posizione”. Genny conosce solo il linguaggio della violenza “che comunica attraverso segnali condivisi dal gruppo, slogan concordati di istigazione all’aggressività, impulso ad atti delinquenziali”. Ma è dentro lo stadio, quando scavalca la staccionata e capeggia, con risalto scenico, l’im – mensa platea che De Tommaso si consegna alla storia come colui che minacciò di impedire lo svolgimento della partita Napoli- Fiorentina. Seguirono 45 minuti di intensi colloqui con alcuni dirigenti sportivi e due funzionari della Digos perché il capitano Hamsik riuscisse a fischiare l’ingresso in campo dei calciatori. Fu trattativa? Il gip lo nega: “De Tommaso non riconosce autorità, chiese di parlare soltanto con il capitano del Napoli”. L’incontro fu consentito “a fronte di una degenerazione della situazione che avrebbe portato a tragiche conseguenze”. La Digos? In veste di osservatori, sembra, mentre lui “ostenta con orgoglio” la sua maglietta dalla staccionata della Curva Nord.