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IL TEMPO La giustizia scarcera le bestie russe

Scontri Roma-Cska
Scontri Roma-Cska

(S.Mancinelli) – I cinque supporter russi arrestati poche ore dopo gli scontri all’Olimpico sono già nelle loro case. Sereni e beati, probabilmente impegnati a organizzare la prossima marcia contro le opposte tifoserie. Così ha deciso il gip che ha rigettato la richiesta di applicazione della misura di custodia cautelare in carcere nei confronti dei giovani moscoviti del Cska, arrestati in flagrante per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate in occasione dell’incontro di calcio tra Roma e i campioni di Russia. Questo, a dispetto della legge 401 del 1989 sulla correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive, applicata con maggiore severità – evidentemente solo sulla carta – dopo gli scontri di Catania, costati la vita all’ispettore capo di polizia Filippo Raciti.

I fatti risalgono al 17 settembre scorso. A tre quarti d’ora dal fischio d’inizio di una delle partite più attese della Champions League, quella tra Roma e Cska Mosca, un gruppo di venti supporter russi dà ufficialmente il via alla guerriglia divampata poi all’interno dello stadio. Legati dal 2012 alla tifoseria napoletana – i social network lo confermano – non è escluso che possano aver attaccato con tanta violenza per vendicare i fatti del 3 maggio scorso e la morte di Ciro Esposito. Ad avere la peggio un poliziotto del reparto mobile intervenuto per sedare gli scontri: ricoverato in ospedale per la frattura della mandibola, ne avrà per un mese. Il tifoso moscovita che lo ha ferito tirandogli contro il palo di un cartello stradale, riconosciuto dall’agente in sede di indagini, ha continuato a dare il meglio di sé anche una volta all’interno dell’Olimpico. Ad incastrarlo, insieme a quattro connazionali – tutti tra i 25 e i 31 anni – le telecamere a circuito chiuso dello stadio.

Le immagini parlano chiaro: alle 22,20, in concomitanza con il quarto gol della squadra di casa, si accendono gli scontri. «Un’azione scientemente premeditata», secondo i poliziotti che hanno preso parte agli scontri, tanto che i tifosi russi si riuniscono, in mille nel settore distinti nord, si compattano e lanciano fumogeni così da rendere difficoltosa la visibilità e, quindi, la successiva identificazione delle persone coinvolte. L’armata russa sfonda il muro degli steward e dei poliziotti in abiti civili. In venti almeno, si muovono violentemente contro la curva sud, dove sono i tifosi romanisti, avvolti da una fitta nebbia. Tre agenti vengono feriti, due ne escono con un labbro spaccato, un altro con la frattura del setto nasale. Le telecamere riprendono i supporter del Cska mentre si accaniscono su di loro con calci e pugni al viso. Sono cinque quelli immediatamente riconosciuti, tra i quali il tifoso inchiodato dalla testimonianza del poliziotto. Gli vengono contestati i reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali e aggravate. Non l’articolo 339 del codice penale, che prevede l’aumento delle pene nel caso in cui «la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite. Da più di dieci persone– si legge ancora nell’articolo – pur senza uso di armi, la pena è della reclusione da tre a quindici anni». Né l’articolo 6 ter e quater della legge legge 401 del 1989, nonostante i russi avessero con sé «artifizi pirotecnici» e abbiano usato «violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli». Arrestati per la violazione dei soli articoli 337, 582 e 585 cp, sono stati rimessi di fatto in libertà. La richiesta di applicazione della misura cautelare formulata dal pm è stata respinta, in quanto «la custodia in carcere non è applicabile non potendosi prevedere una condanna superiore ai tre anni di reclusione, tenuto anche conto dello stato di incensuratezza e della giovane età degli indagati, mentre misure non afflittive sono del tutto inapplicabili in assenza di qualsiasi stabile collegamento degli indagati con il territorio nazionale». E allora i tifosi laziali detenuti per 61 giorni in Polonia dopo la partita di Europa League tra Legio Varsavia e Lazio? E allora i marò, in India da oltre due anni?

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