(E.Sisti) – Provate a spaccare in più punti la caviglia di una «forza della natura», vi dirà che forse non se la sente più di continuare a certi livelli. Provare a rompere, crociato e menisco a una «forza della natura», è probabile che il resto della sua carriera se lo vivrà da ergastolano della fisioterapia, su e giù dal lettino, sempre con le mani di qualcuno addosso, sempre in dubbio per la partita successiva e sempre con minore entusiasmo, schiavo dell’artrosi e della malinconia. Provate a mettere in crisi, e a più riprese, la schiena di una «forza della natura», avrà meno voglia di farsi prendere a ginocchiate dai difensori avversari. Provate a fermare Francesco Totti, malgrado tutto questo. Non ci riuscirete. Forse è impossibile. Oggi Peter Pan, lusso dello sport italiano in fuga dalla carta d’identità, compie 38 anni. Ma come ha precisato Rudi Garcia (è stato lui a definirlo «una forza della natura») fareste bene a non ricordarglielo: «Penserebbe che state parlando di qualcun altro: lui se ne sente 28».
Totti vive, respira, segna e lancia come un adolescente. Ma l’adolescente nasconde l’adulto. E l’adulto ha imparato a conoscere se stesso attraverso le tante buche incontrate durante il viaggio. A volte gli abbiamo visto perdere l’equilibrio. Mai il coraggio. Ora apprezza il valore dello sforzo quanto quello del riposo, che è il compagno di stanza dell’agonismo. Ora sa che per giocare più a lungo non può più giocare sempre, né a ritmi elevati (e oggi contro il Verona potrebbe partire dalla panchina). Proprio in riferimento all’eccezionale capacità di resistenza al tempo del suo «capitano », ieri Garcia è tornato a sottolineare l’importanza dell’allenamento invisibile, della cura di sé nel privato. Totti è il testimonial assoluto della professionalità casalinga, segreto motore delle sue pubbliche grandezze. Con qualche fetta di salame in più, con un pezzo di cioccolata sbagliato, sembreranno stupidaggini, ma lui lo sa che non sarebbe qui.
Il mix di età e genio (la prima si muove, il secondo è fermo) è reso possibile dal combinarsi della passione che non si consuma e della disciplina nella gestione del corpo, che è un tipo di passione meno mediatica, è il volersi bene in nome di qualcuno, qualcosa, la gente, la Roma, il pallone. Non stiamo discutendo il talento del «ragazzo», passato alla condizione di “master” senza flettere di un solo grado l’angolo del suo rapporto col calcio. Ci domandiamo soltanto come faccia, uno che già segnava in serie A quando molti dei suoi attuali compagni prendevano il biberon, cosa faccia, di cosa si nutra, una forza della natura così artisticamente datata e geneticamente dotata. Lui è l’esempio. Gioca di prima spalle alla porta come nessuno al mondo. Dopo averlo individuato fra altri cento in tribuna, può lanciare anche uno steward. Niente bevande alcoliche, colazione, pranzo, merenda e cena sempre alla stessa ora, rigore nelle porzioni (non assumere mai più di 30 gr. di proteine, che equivalgono a 120 gr. di petto di pollo o 230 gr. di pesce, e sempre unite a carboidrati a basso indice glicemico, pasta meglio del riso). Non chiamateli sacrifici, piuttosto occasioni.
Francesco vede i figli crescere, ogni tanto guarda lontano e pensa: «Ma davvero un giorno dovrò smettere?». È inevitabile. Ma sul quando, parliamone. «Vorrei un altro scudetto », ha detto ieri a Roma Tv. «E la Roma stia tranquilla: De Rossi è come se fosse già capitano», Davanti a 38 foto del suo passato ha ricordato Cassano («un matto, ma che giocate insieme!»), Sandri, l’amicizia con Nesta e Buffon, il suo primo idolo Giannini, il cucchiaio all’Olanda e all’Inter. E di Maradona ha detto: «La sua faccia è su ogni pallone».