(L. Valdiserri) Dieci nazionalità diverse in campo: Skorupski (Polonia), Maicon (Brasile), Manolas (Grecia), Yanga-Mbiwa (Rep. Centroaficana- Francia), Cole (Inghilterra), Nainggolan (Belgio), Keita (Mali), Pjanic (Bosnia), Gervinho (Costa d’Avorio), Totti e Florenzi (Italia). Eppure la Roma, contro il Manchester City, ha parlato per 95’ la stessa lingua in campo. Rudi Garcia, tra i tanti meriti, ha soprattutto quello di aver creato dentro il gruppo un esperanto calcistico che permette a tutti, anche ai nuovi arrivati, di integrarsi velocemente.
Gli allenatori – e quindi le loro squadre – si possono grossolanamente dividere in tre categorie: 1) quelli che non cambiano nulla, qualunque sia l’avversario che incontrano; 2) quelli che hanno un’idea propria di gioco ma tengono conto della controparte; 3) quelli che si adattano all’avversario. Va da sé che i primi siano chiamati «integralisti », anche se pure i terzi dovrebbero essere classificati tra quelli. Rudi Garcia è chiaramente un esponente del secondo partito. Lo dimostrano le cifre e i risultati delle ultime due gare, quella in campionato contro il Verona e quella di Champions League contro il Manchester City.
Nella prima la Roma ha dominato il possesso palla (70,6%), nella seconda ha accettato di lasciarlo agli inglesi (solo 39,1%), fiduciosa che qualche spazio in più le avrebbe fatto comodo contro una linea difensiva che ha cercato, con scarso successo, di giocare alta e provare il fuorigioco. Sul tempo di gioco guadagnato all’avversario è nata l‘azione della traversa di Maicon e, soprattutto, la verticalizzazione di Nainggolan per il gol di Totti. Garcia ha definito la sua squadra «matura» e parlato di «giusta personalità». Da allenatore si è giustamente inorgoglito di aver costretto Pellegrini a modificare il suo piano di gioco: fuori Dzeko e dentro Lampard nella ripresa, per cercare di recuperare il controllo del centrocampo. Il segnale inequivocabile di una partita preparata alla perfezione dai giallorossi.
Archiviato il risultato, ottimo ma purtroppo non decisivo, la domanda che nasce spontanea è questa: che Roma vedremo, domenica, allo Juventus Stadium, dove nella gestione americana ha raccolto solo sconfitte e gol subiti (tre in campionato e una in Coppa Italia, 14 incassati e solo uno segnato)? Rispetto alla Juve di Conte quella di Allegri è meno «fast and furious» (il copyright è di Ashley Cole) e fa più possesso palla. La Roma, in un anno di addestramento con Garcia, ha perfezionato le ripartenze «a un tocco»: prima er ano un’esclusiva di Totti, a Manchester abbiamo visto un assist «tottiano» di Nainggolan. Il recupero di Iturbe, in questo senso, è importante, così come lo sarà avere soluzioni alternative in attacco (Destro e Ljajic). Il problema, semmai, è per i tre centrocampisti, che non hanno ricambi in attesa di De Rossi e Strootman.