(A. Catapano) – Cinque mesi e molte domande ancora senza risposta. Per i tempi solitamente biblici della giustizia italiana, l’indagine sugli incidenti scoppiati il 3 maggio scorso a viale Tor di Quinto tra ultrà napoletani e romanisti, degenerati in una sparatoria che lasciò sull’asfalto il 29enne Ciro Esposito, morto dopo 53 giorni di agonia, è andata avanti spedita. Tanto spedita da ingenerare il sospetto che ad un certo punto si volesse a tutti i costi confermare la versione, fornita subito dalle autorità, del pazzo isolato con un passato da romanista e fascista — il 48enne Daniele De Santis detto Gastone — che tira fuori una pistola e spara ai primi passanti che trova, casualmente degli ultrà del Napoli, casualmente poco prima della finale di Coppa Italia con la Fiorentina. Ricordate cosa disse la sera stessa degli incidenti il Questore di Roma Massimo Mazza? «È stato un episodio isolato, slegato da motivi calcistici». Una versione smentita già nei primi giorni delle indagini, e ancor di più dai passi successivi dell’inchiesta condotta dai pm Eugenio Albamonte e Antonino Di Maio, fino alle conclusioni del Racis, che oggi verranno discusse davanti al gip Giacomo Ebner, ai pm e ai legali delle parti.
La versione dei carabinieri Le conclusioni del Racis contengono i risultati degli accertamenti tecnici disposti dal gip (stranamente assegnati ai carabinieri e non alla polizia scientifica) e, sulla base di quelli, una possibile ricostruzione dei fatti che ha lasciato perplessi i pm. Secondo i periti, infatti, quel pomeriggio De Santis, uscito dal suo covo-abitazione con altri quattro romanisti, lanciate un paio di bombe carta su un pullman di tifosi del Napoli incolonnato su viale Tor di Quinto, sarebbe stato aggredito da un gruppo di ultrà richiamati dall’altra parte della carreggiata ed evidentemente ansiosi di dargli una lezione e avrebbe sparato i quattro colpi che hanno raggiunto Ciro e Alfonso Esposito e Gennaro Fioretti, solo dopo esser stato sopraffatto e ferito, forse perfino con un coltello, dai suoi aggressori. Poi, in una fase successiva, sarebbe stato brutalmente pestato da almeno altri quindici ultrà napoletani, che lo hanno quasi ammazzato, tanto che, a cinque mesi di distanza, Gastone è ancora ricoverato in ospedale e rischia di perdere una gamba.
Mancano tante risposte Ora, al netto delle ipotesi accusatorie dei legali della famiglia Esposito — «È stato un agguato premeditato e ha sparato con la volontà di uccidere» — e delle tesi difensive degli avvocati di De Santis — «Se ha sparato, lo ha fatto per legittima difesa» —, cinque mesi dopo nella ricostruzione dei pm e nelle testimonianze dei compagni di Ciro mancano ancora tante, troppe risposte. Gastone fu effettivamente ferito prima di sparare? Addirittura con un coltello o «solo» con un collo di bottiglia? E perché le ferite da arma da taglio che avrebbe subito non compaiono nel primo referto medico, ma solo in quelli successivi? Di chi era la Benelli 7.65 con cui ha sparato? Perché non ne è stata ancora ricostruita la «storia»? E chi e quando con il calcio di quella pistola lo ha colpito alla testa? A queste domande dovrà rispondere innanzitutto lui, il Gastone indagato per l’omicidio volontario di Ciro Esposito: i pm lo interrogheranno a Viterbo il 9 ottobre. Meglio tardi che mai.