(M. Feltri) Pjanic, l’impressione è che arriviate alla sfida con la Juventus persuasi che il divario si sia ridotto. «Sicuramente sì, siamo al secondo anno con Rudi Garcia, conosciamo meglio il suo gioco, abbiamo cambiato poco anche nella rosa. Con la Juve è sempre dura, ma sappiamo di poterle dare più fastidio».
C’entra il pareggio di Manchester?
«Senz’altro. Il City l’anno scorso ha vinto la Premier e quest’anno punta a rivincerla: andare là e essere vicini alla vittoria ci ha dato conferma che oggi siamo più forti. Gioche re – mo a Torino c ome a Manchester: per fare tre punti e sapendo che a un certo momento della partita può essere buono farne uno».
A Madrid la Juve ha perso la prima partita della stagione. Conterà?
«Non lo so, non ci pensiamo»
Quest’anno, rispetto allo scorso, avete la Champions in più. Quanto è dura?
«Tanto, ma lo sapevamo: si è preparata la società, si è preparata la squadra. Abbiamo 22-23 giocatori tutti di alto livello, si fa turnover. Speriamo vada avanti a lungo. Infatti prima ancora del sorteggio pensavamo a passare il turno, poi c’è stato un sorteggio così pesante e ci siamo detti che non cambiava nulla, l’obiettivo era comunque andare avanti. Ci davano tutti per sfavoriti e invece abbiamo cominciato molto bene».
Ha amici nella Juventus?
«No.Ho tanto rispetto di una squadra così forte,ma non ho amici».
C’è un giocatore juventino che ammira più di altri?
«Andrea Pirlo. Ha una classe enorme, organizza la squadra meravigliosamente, risolve le partite da solo. Non so gli altri, ma io spero che giochi». (Arriva il presidente James Pallotta che lo bacia in fronte: «Voi tutti dovete sapere quanto io ami questo ragazzo »).
L’altro genio è Francesco Totti: a Roma è sempre stato un re. Da qualche anno lo ama tutta Italia. Che è successo?
«È successo che se lo merita e forse ce ne si poteva accorgere anche prima. Non solo per quello che fa in campo a 38 anni, ma per la persona che è. Aiuta tutti i compagni non dice mai di no a un tifoso. Forse non ci rendiamo conto di che perdita sarà quando smetterà col calcio».
La presenza di Totti limita la sua leadership?
«No, assolutamente. Perché questa domanda? Nessuno mi limita e io non mi trattengo. I leader in campo devono essere tanti ed è normale che Totti, per l’età e per la straordinaria classe, sia il riferimento di tutti noi».
Lei ha amici nella Lazio? Perché per i romanisti sarebbe sacrilegio.
«Certo, sono amico di Senad Lulic. Giochiamo insieme in nazionale, è normale, questo è il calcio non la guerra: non giocherò mai nella Lazio ma finisce lì. A Manchester, dopo la partita, sono venuti a trovarci in albergo Jovetic, Kolarov e il mio grande amico Dzeko e abbiamo cenato insieme. Così bisognerebbe fare».
Lei disse che venire a Roma fu una scelta extra calcistica: voleva conoscere la Città eterna e l’Italia.
«No, è una frase che mi hanno attribuito. Non sapevo nemmeno trovare Roma sulla cartina. Volevo restare a Lione, ma il direttore Sabatinimi telefonava dieci volte al giorno e mi sono sentito importante. Ho fatto bene: qui c’è un progetto che tutti pensiamo di portare fino in fondo».
Che fa nel tempo libero?
«Sto con mio figlio, sia chiama Edin come Dzeko. È la cosa più importante che ho. E poi resta poco tempo perché giochiamo ogni tre giorni. Se riesco vado a fare shopping».
In centro?E i tifosi?
«E i tifosi mi chiedono la foto o l’autografo ma va benissimo».
Che cosa le piace di Roma?
«Il Colosseo, è di una bellezza incredibile, grande come uno stadio».
E dell’Italia che cosa detesta?
«Gli stadi, sono orrendi, indegni di un calcio importante come quello italiano».
Se le dico Dinamo Zagabria- Stella Rossa, 13 maggio 1990, che le viene in mente?
«Ah, non so. Ero un bimbo di un mese… Penso sia la partita degli scontri fra polizia e tifosi della Dinamo che nell’immaginario di molti, specie in Italia, dà il via alla guerra dell’ex Jugoslavia ».
Zvone Boban si picchiò con un poliziotto, un bosniaco musulmano come lei. Poi hanno fatto pace. Alla fine, dalla guerra ne siete usciti bene?
«No, ne siamo usciti male. Siamo più poveri in tutti i sensi. C’era lavoro. Eravamo forti negli sport…».
Uscivate dal comunismo...
«Sì ma ora siamo comunque più poveri. Mi piacerebbe se Boban mi raccontasse come andò quella volta».
Coi suoi genitori, che scapparono in Lussemburgo l’anno dopo, non ne parla mai?
«Qualche volta sì, ma non moltissimo. Credo che dipenda dal fatto che per quelli come me, della mia età, le ragioni di quella guerra sono dimenticate. Viviamo con persone di etnia, cultura e religione diversa, siamo loro amici».
È vero che Domenech pensava di convocarla nella selezione francese?
«Sì, ma io ho scelto la Bosnia perché è la mia terra, anche se sono cresciuto lontano. Volevo dare qualcosa alla mia gente, siamo riusciti ad andare ai Mondiali ed erano tutti felici. Ci torneremo».
Per un musulmano che significa vedere gli occidentali decapitati dai guerriglieri dell’Isis?
«È una follia, ma è quella la vera immagine dei musulmani? È da musulmani sgozzare la gente? E in nome dell’amore di non so chi? Quelli sono matti, quelli si uccidono anche fra di loro, non sono veri musulmani ».