(G. Marcotti) – Possedere la Roma e far sapere al mondo il proprio progetto a lungo termine per portare i giallorossi a dominare in Europa, è condito da troppi cliché. Non è stata costruita in un giorno, abbiamo capito. Ma, alla fine, tutte le strade portano lì ed è per questo che c’è tanto potenziale. La chiave, però, ora che sei a Roma è sapere quando – e in che misura – fare quello che fanno i romani e costruire la tua strada. James Pallotta evita questi aforismi. Lui ha il suo: “E’ Roma. E’ fottutamente Roma”.
E’ stato circa tre anni e mezzo, da quando è entrato a far parte del club ma il suo obiettivo è sempre stato chiaro: ottenere un club perennemente sotto controllo (sia sul campo che sul piano delle finanze del club) per adempiere al meglio al suo potenziale. Oh, e farlo sullo sfondo del Fair Play Finanziario mentre il calcio italiano è in crisi. E in una città che Fabio Capello – l’ultimo a consegnarle il titolo nel 2001 – considerò che “manca la cultura della vittoria”.
Ma Roma è anche un luogo in cui più di un milione di persone affollavano il Circo Massimo per celebrare lo scudetto del club. Ci si sente come in un villaggio gigante con una mentalità insulare, secondo alcuni, ma è grande abbastanza per sostenere una dozzina di stadio radio che parlano di Roma, con più 700mila persone pronte a sintonizzarsi ogni giorno. Oltre alla Tv e la Radio ufficiale del club, il quotidiano sportivo principale italiano, il Corriere dello Sport, ha sede a Roma ed offre quattro pagine ogni giorno ai giallorossi. Fino allo scorso mese di agosto, c’era un quotidiano (“Il Romanista”) dedicato esclusivamente al club. Tutto questo fa capire quanto interesse ci sia intorno alla squadra capitolina. Si tratta di un livello di controllo che supera di gran lunga qualsiasi altro club in Europa con la possibile eccezione di Barcellona e Real Madrid che sono molto più grandi e hanno più fan. Ed è un’arma a doppio taglio.
“Non mi aspettavo che fosse tutto così folle, la parte frustrante è come molta di questa roba è stata costruita, anche se stiamo iniziando a vedere un miglioramento”, dice Pallotta. Nel suo tempo, ha visto figure indistinte che hanno attentato alla sua scalata al club tacciandolo di massoneria. Qualcuno ha anche registrato conversazioni private che coinvolgono il direttore sportivo del club, Walter Sabatini.
Quando si aggiunge questo fortissimo (e a volte eccessivo) interesse dei media locali per il club al fatto che la Roma possiede il miglior settor giovanile della Serie A (insieme all’Atalanta) e il suo tifo è rappresentato da un milione di persone pronte ad andare al Circo Massimo, si può capire perché Pallotta abbia acquistato il club.
La domanda è: come si può canalizzare tutto questo in una squadra che possa riuscire ad avere successo in campo e finanziariamente? Nella sua prima stagione, Pallotta ha fatto alcune mosse audaci come affidare la panchina all’attuale tecnico del Barcellona Luis Enrique e finire il mercato con una spesa netta di 80 milioni. Purtroppo, nonostante il sostegno degli ultras, il club ha raccolto un deludente settimo posto, che hanno portato alle dimissioni dello spagnolo. Anche la stagione successiva – con una spesa di 27,5 milioni – è stato un vero disastro: Zdenek Zeman è stato riportato nella Capitale con una massiccia campagna pubblicitaria, ma non riuscì a terminare la stagione e venne licenziato. Ma poi, come accade qualche volta, se spendi di meno riesci comunque a fare il jackpot.
La Roma ha realizzato un utile di 55 milioni nel mercato 2013/2014, ma con il nuovo manager Rudi Garcia è arrivato subito al successo ottenendo un secondo posto in Serie A. La scorsa estate la spesa è tornata (28 milioni netti) e la Roma ora concorre per la Serie A. (La loro Champions League, per ora, ha avuto alti – strappando un pareggio in casa con il Manchester City – e bassi estremi, come l’umiliazione casalingo per 7-1 contro il Bayern).
Ti chiedi dove questa squadra sarebbe potuta arrivare senza le false partenze di questi primi due anni e quello che, con il senno di poi, si è rivelato non essere corretto seppur audace. Sul campo, nonostante i due anni persi, alcuni danni sono stati mitigati dalle campagne acquisti effettuate dal club.
Bradley, Borini, Lamela, Benatia e Marquinhos sono stati venduti per una cifra intorno ai 79 milioni di dollari, più di quanto costarono alla Roma e sono riusciti a rientrare della spesa effettuata per alcuni calciatori che non si sono ambientati come Bojan, Osvaldo e Stekelenburg. E si può solo immaginare quanto i giallorossi potrebbero ricavare da Pjanic, Nainggolan e Strootman che valgono molto di più dei 45 milioni di dollari spesi per acquistarli.
Mentre un club può sopravvivere di accordi e stratagemmi, una squadra non può farlo realmente sul campo. In questo senso, Garcia ha portato stabilità più qualche buon risultato. Pallotta sa che questo è solo uno degli ingredienti.Aumentare le entrate commerciali è un punto critico. La Roma era uno dei club sotto il controllo del Fair Play Finanziario, ma Pallotta non è preoccupato, data la situazione difficile che ha ereditato dalla precedente gestione. “Credo che l’Uefa sarà piacevolmente sorpresa dalle nostre operazioni e da quello che abbiamo fatto negli ultimi anni”, dice. “Noi non saremo penalizzato per quello che è stato fatto prima che prendessimo il controllo del club. E’ stata una situazione estremamente angosciante. Mi piace pensare che saremo presi ad esempio”.
I diritti televisivi sono una priorità, ma sono anche una fonte di frustrazione. Nonostante i suoi mali, la Serie A è la seconda lega per diritti televisivi – dietro la Premier, ma davanti la Liga e la Bundesliga -. Eppure, quando l’anno scorso è stato sottoscritto l’accordo, la Serie A ha deciso di continuare ad utilizzare un intermediario in cambio di un contratto di sei anni e un modesto aumento. Pallotta ha visto questo come un voler evitare eventuali rischi, dimostrando poca fiducia nel prodotto.
“(Hanno detto che) sottoscriviamo un contratto di sei anni senza praticamente nessun aumento…è assurdo”, dice Pallotta. “Hanno detto che ‘non possiamo correre rischi’ ed è come se ‘non ci saranno rischi, ma lasciatevi educare sui diritti televisivi’. Ci sono alcuni intermediari e alcune persone che fanno una quantità assurda di soldi…stiamo lasciando ingenti somme di denaro per il nostro Campionato sl tavolo”.
Un’altra lamentela è che in alcuni casi le entrate a breve termine sono state preferite in vista della redistribuzione dei diritti. Pallotta ha raccontato che una volta, mentre si trovava a San Francisco, ha visto 5 minuti della partita della Roma in televisione, perché l’emittente televisiva aveva trasmesso uno spezzone per colmare il buco prima di una partita del Barcellona. Questo è ciò che accade quando si vendono i diritti ad una emittente che detiene i diritti di altri campionati e i tempi di trasmissione non coincidono tra i diversi club.
Prossimo altro grande balzo in avanti del club sarà costruzione del nuovo stadio da 52.500 posti. La struttura conterà di tribune di lusso, strutture commerciali e di intrattenimento: tutto ciò che necessita un grande club per avere delle entrate che gli permettano di operare nell’era del Fair Play Finanziario. In questo momento, in Serie A, solo Sassuolo e Juventus hanno uno stadio di proprietà La Roma e l’Udinese stanno correndo per diventare il terzo club. “Vorremmo iniziare a costruire a marzo e, magari, iniziare a giocarci dalla stagione 2016/2017″, dice Pallotta. Parla anche di concerti, Nfl, Nba nel nuovo stadio, oltre all’idea di far diventare lo stadio un hub di Etihad qualora comprasse Alitalia.
“Penso che abbiamo ottime prospettive”, dice. “[Dal punto di vista dello stadio] preferisco essere il presidente della Roma che dell’Arsenal, del Tottenham o del Chelsea…voglio dire, quante squadre ci sono a Londra? Inoltre hanno delle restrizioni sul modo di gestire il loro stadio”.
Pallotta sembra sicuro di sè ed entusiasta perché lo è realmente. E’ una persona sportiva. Valore aggiunto, è una persona sportiva di boston: le tempeste ogni tanto si abbattono sulle sue spalle. E’ un socio di minoranza dei Boston Celtics, e ha messo una leggenda come Cam Neely nel consiglio della Roma e chiama il proprietario dei New England Patriots, Robert Kraft, “Krafty”.
E’ un uomo che si è fatto da solo ed è convinto di poter fare qualcosa di grande – non solo per la Roma e non solo per Roma, intesa come città, ma per il calcio italiano in generale -.
Per fare questo, però, non può semplicemente versare soldi nelle casse giallorosse. Ha bisogno di essere a comando della Serie A, soprattutto ora che ha riscontrato le stesse frustrazioni in Andrea Agnelli, presidente delle Juventus. Rivalità secolari, politiche, sfiducia reciproca, visione a breve termine: questi sono alcuni fattori per cui i club italiani non si vedono come partner di business come in Nfl o in Premier League.
“Abbiamo molta strada da fare”, dice quando gli viene chiesto se le squadre di Serie A si vedono come partner. “Stiamo ottenendo più entrate, ma i guadagni marginali dipendono dalla guerriglia”. “Siamo in grado di fare molto bene a Roma, diventando un grande marchio mondiale, ma non è questo il punto”, aggiunge Pallotta. “Vogliamo che il campionato possa tornare all’alto livello in cui è stato in passato”. Roma è unica e così è la Roma, che è il motivo per cui Pallotta ha deciso di stabilirsi qui. Ha ragione quando dice che può far ben poco senza il supporto della Serie A. Più di un decennio di cattiva gestione hanno trascinato il gioco italiano dove è ora: molto lontano dai fasti degli anni 1980 e 19990. Se c’è un barlume di speranza viene da una nuova generazione di proprietari che, in misura diversa, dicono e fanno le cose giuste: Pallotta, Agnelli, Della Valle, De Laurentiis e Thohir. La strada davanti, però, è lunga. Non è solo Roma a non essere stata costruita in un giorno: neanche l’età dell’oro della Serie A, una generazione fa, fu costruita in un giorno.